
Leggiamo la parabola degli operai della vigna (Mt 20,1-16)[*] e spontaneamente ci chiediamo: ma perché? In base a quale logica questo datore di lavoro dà la paga di un’intera giornata anche a quelli che hanno fatto un’ora sola di lavoro? Non aveva un contratto con loro, si era solo impegnato a dare ciò che è giusto… Perché dare tanto?
Non era tenuto. Si tratta di un gesto gratuito, non dovuto, dettato dalla compassione. Siamo riportati nel clima della parabola precedente (Mt 18,18-35. Certo si tratta di un gesto di proporzioni più modeste, comunque sollecitato dalla condizione di estremo bisogno di questi braccianti, che altrimenti quella sera avrebbero dovuto tornare a casa praticamente a mani vuote. Questo è implicito nella condizione stessa del bracciante, che rivive ogni mattina il dramma della ricerca di un lavoro (la scena di questa parabola si ripeteva ogni giorno, fino ad alcuni decenni fa, sulle piazze dei nostri paesi).
Se il datore di lavoro agisce così non è per fare un dispetto a quelli della prima ora, né per dare autoritariamente e capricciosamente una dimostrazione come l’altra del suo insindacabile arbitrio di padrone.
Però la sua generosità provoca malumori e recriminazioni. E il padrone non si limita a zittirle o ad ignorarle, ma entra in dialogo, espone pacatamente le sue ragioni, cerca di far capire agli operai della prima ora che le loro lagnanze sono sbagliate.
Amico, io non ti faccio torto. Non hai concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio?
La giustizia consiste nel dare ciò che si è pattuito – e il denaro viene dato, il contratto è rispettato. La generosità verso i poveri non viola certo la giustizia: va oltre.
La cosa è chiara, eppure noi moderni nonostante tutto continuiamo a chiederci: ma insomma, questo benedetto uomo così generoso non poteva dare anche a quegli altri qualcosina in più? Ebbene, la risposta è no. Accondiscendere alle pretese dei mormoratori equivarrebbe a snaturare il gesto, facendo passare per pura e semplice giustizia quello che era un libero gesto di generosità – come se a un certo punto, passandosi la mano sulla coscienza, si fosse reso conto che il salario pattuito era inadeguato, ed avesse ritenuto giusto stabilire un aumento proporzionale per tutti. Oppure equivarrebbe ad aggiungere a quel gesto di generosità, dettato dalla situazione di bisogno di quelle persone, un ulteriore gesto di generosità, ma questa volta completamente immotivato, nei confronti di chi non era nel bisogno.
In realtà gli operai della prima ora sanno bene di non poter pretendere altro. La loro richiesta di avere qualcosa in più è solo una maniera come un’altra per non dire brutalmente che avrebbero preferito che quelli dell’ultima ora avessero ricevuto solo quel poco che avevano meritato.
E così veniamo a capire perché questa parabola ci parla del Regno dei Cieli. Il malumore degli operai della prima ora riflette chiaramente la posizione dei Farisei: per loro l’obbedienza alla Legge è il mezzo per guadagnarsi a caro prezzo la benevolenza di Dio, non è la risposta dell’uomo a un amore gratuito che viene dato prima. È per questo che quando vedono che l’amicizia di Dio viene offerta anche ai peccatori, questo per loro equivale a dichiarare inutile tutta la loro vita, tutti i loro sforzi: allora, se è così, non valeva la pena di impegnarsi!
La frase decisiva è proprio l’ultima domanda dei padrone:
O forse il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?
I Farisei vogliono un mondo retto solo dal merito, in cui l’amicizia di Dio si compra, in cui ogni uomo vale quanto valgono le sue prestazioni; un mondo in cui chi sbaglia deve pagare duramente, altrimenti non varrebbe la pena di tanto sforzo per essere giusti. Ma questo mondo in cui non c’è spazio per la misericordia, in cui viene proibito a Dio di amare gratuitamente, si rivela profondamente disumano.
E noi, da che parte stiamo? Potremmo essere proprio noi quei Farisei che, come gli operai della prima ora, si lagnano della fatica e del caldo, non amiamo il lavoro nella vigna del Signore, ma ci sottomettiamo all’obbedienza per ottenere qualche vantaggio. Dio non voglia! Se così fosse, dovremmo sentire rivolte a noi quelle terribili parole:
Prendi il tuo e vattene!
Se uno non vuole condividere la misericordia del Signore, non vuole rimanere con il Signore!
Ma potremmo forse essere come quei braccianti che non si fanno trovare dal Signore né all’alba, né alle nove, né a mezzogiorno…
Perché ve ne state tutto il giorno oziosi? Andate anche voi a lavorare nella mia vigna!
La generosità del Signore, stiamone certi, non ci deluderà.
[*] Riprendo queste riflessioni da V. Fusco, Oltre la parabola, Assisi 1983, pp. 115-120.
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