
Se tuo fratello commette una colpa contro di te… che fai?
Tuo fratello – non è l’estraneo, è il tuo familiare. Nel linguaggio del Nuovo Testamento è colui che sta nella tua comunità.
Commette una colpa contro di te – ti manca di rispetto, ti insulta o parla male di te, si prende ciò che è tuo, insidia i tuoi affetti…
Se Gesù ne parla, significa che queste cose accadono e lui lo sa. La prima cosa da imparare è non scandalizzarsi. Non scandalizzarsi neppure di se stessi, se ci si scopre in qualche colpa, sgarbo, maldicenza, non amore verso gli altri.
Se sei vittima della colpa altrui – dice Gesù – devi prendere l’iniziativa.
Ma è proprio il contrario di ciò che pensiamo noi! Noi diciamo: io sono stato offeso, tocca a lui fare il primo passo. E invece no. Perché?
Paolo dice che siamo debitori di un amore vicendevole (Rm 13,8). Perché debitori? Perché Cristo ci fa credito del suo amore nel nostro peccato e noi dobbiamo restituire questo credito ai fratelli peccatori come noi: in questo sta la salvezza.
Il Vangelo ci insegna a non disprezzare il peccatore. Questo significa amarlo, non considerarlo perduto ma poterlo prendere per quello che è, recuperare la comunione con lui nella remissione dei peccati. Badate bene: non si tratta solo di “dimenticare e perdonare”, si tratta di prestarsi mutuamente il servizio più importante e più essenziale: quello della Parola di Dio.
Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello (Mt 18, 15).
Si tratta di testimoniare all’altro, con parole umane, tutta la consolazione di Dio e il suo ammonimento, la sua severità e la sua bontà.
Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia (Ez 33,7).
Questo non è per niente facile – e il Signore lo sa bene. Se prima non ascoltiamo correttamente l’altro, non potremo mai dirgli la parola giusta per lui. Se non siamo realmente disponibili a prestargli aiuto, la nostra parola non potrà essere credibile e veritiera. Se non siamo disposti a portare il peso dell’altro, se siamo impazienti o superbi, le nostre parole non possono recare liberazione e salvezza:
La carità non fa alcun male al prossimo (Rm 13,10).
Però attenzione: l’ascolto dell’altro, la delicatezza nei suoi confronti, il rispetto della sua privacy, della sua dignità, della sua libertà… non deve portarci a dire come Caino: “Sono forse io il guardiano di mio fratello?” (Gn 4,9) – perché la Parola di Dio ci dice che questo atteggiamento, in apparenza nobile, può incorrere nella maledizione divina:
Della sua morte io domanderò conto a te (Ez 3,18).
Dove si ha una comunità di cristiani che vivono insieme, si arriva per forza, ad un certo momento e per qualche motivo, alla correzione fraterna. Non è cristiano il deliberato rifiuto di questo importantissimo servizio reciproco. Se non ci vengono le parole, dobbiamo esaminarci sul modo in cui consideriamo il nostro fratello.
Il fondamento che ci consente di parlare tra noi è il sapere che gli altri sono peccatori come noi, che nonostante la loro dignità sono abbandonati e perduti, se non trovano aiuto. Allora parliamo gli uni agli altri considerando l’aiuto di cui tutti abbiamo bisogno. Ci aiutiamo gli uni gli altri a seguire la strada che Cristo ci indica.
Quanto più impariamo ad accogliere la parola che gli altri ci dicono, si tratti pure di duri rimproveri e di ammonimenti da accogliere con umiltà e gratitudine, tanto più si accresce la nostra capacità di parlare con libertà e pertinenza. Chi per suo conto respinge la parola fraterna detta seriamente, perché è sopraffatto dalla suscettibilità o dalla vanità, non può neppure dire umilmente la verità agli altri, in quanto ne teme il rifiuto che sarebbe causa per lui di ulteriore offesa. Chi è suscettibile, tende sempre ad adulare il proprio fratello, e dunque anche a disprezzarlo e a calunniarlo. Invece chi è umile si attiene alla verità e insieme all’amore. Si attiene alla Parola di Dio e si lascia condurre da questa Parola al fratello. Non cercando e non temendo niente per sé, può aiutare l’altro con la parola.
È un servizio di misericordia, un’estrema offerta di comunione autentica, il porre fra di noi la sola Parola di Dio, nella sua funzione di giudizio e di aiuto. In tal caso non siamo noi a giudicare, ma Dio solo, e il giudizio di Dio procura aiuto e salvezza.
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