
Dopo tanti discorsi, dopo tanti miracoli, Gesù prende in disparte i suoi e pone due domande:
“La gente chi dice che io sia? […] Ma voi chi dite che io sia?” (Mt 16,13-20).
Già il fatto che le domande siano due, ci fa capire che si guarda a Gesù da due punti di vista differenti: quello della gente di fuori e quello dei discepoli*.
La gente conosce Gesù “dall’esterno”; non che questa conoscenza sia necessariamente falsa, però è inadeguata. A questa conoscenza esterna, si contrappone una conoscenza più profonda: quella dei discepoli che rimangono in sua compagnia e camminano con lui, crescono nella consuetudine con lui.
Cosa dice “la gente”? La gente inserisce Gesù in una categoria: quella dei profeti. Fanno riferimento a quello che già conoscono, è “uno come” gli altri profeti. Questa opinione non è semplicemente sbagliata, anzi esprime ammirazione e persino devozione nei confronti di Gesù; tuttavia non raggiunge la sua vera natura, la sua novità. Interpreta Gesù a partire dal passato, mediante una categoria consueta, non a partire da se stesso, non nella sua unicità, che non è inseribile in nessuna categoria.
Questo accade anche oggi nell’opinione della gente che ha conosciuto Cristo in qualche modo, magari ne ha fatto oggetto di studio, ma non l’ha mai incontrato personalmente.
Così tra i filosofi qualcuno ha messo Gesù affianco a Socrate, Buddha e Confucio come uno dei quattro uomini che maggiormente hanno contribuito per la ricerca del modo giusto di vivere. Ma Gesù in questo modo viene compreso in una categoria in cui legittimamente si possono inserire anche altri personaggi.
Oggi c’è poi la tendenza a considerare Gesù come uno dei fondatori di religioni nel mondo, ai quali fu data una profonda “esperienza” di Dio e che pertanto hanno potuto parlare di Dio agli altri uomini. Ma ogni “esperienza” porta con sé il limite dell’uomo che la fa. Con questa opinione, uno può senz’altro amare Gesù e può anche sceglierlo come maestro – ma il suo insegnamento resta comunque qualcosa di parziale, da completare con i frammenti percepiti dalle esperienze di altri “maestri”. Alla fine, dunque, sono io che decido che cosa accettare, che cosa mi aiuta, che cosa mi è estraneo. Gesù è uno tra tanti.
All’opinione della gente si contrappone la conoscenza dei discepoli, che si manifesta nella confessione di Pietro:
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.
Pietro, portavoce dei discepoli, ha riconosciuto che Gesù non rientrava in nessuna delle categorie consuete, che Egli era qualcosa di più e di diverso da “qualcuno dei profeti”.
“Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.
Di fronte a Gesù, “la carne e il sangue” – cioè le forze umane – dicono tante cose, ma non possono far altro che ridurre il presente al passato, interpretandolo come una seconda edizione, una replica o, nella migliore delle ipotesi, una continuazione di ciò che è già stato. Colui che viene dal Padre che è nei cieli può essere interpretato solo dal Padre che è nei cieli.
“E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. E le potenze degli inferi non prevarranno su di essai”.
Ci viene rivelata qui la grazia di stare in una Chiesa che professa la verità sul Figlio dell’Uomo, perché non la carne e il sangue gliel’hanno rivelata: non dipende dalla scienza e dalla sapienza umana, ma dalla grazia di Dio. Una Chiesa che ha un fondamento solo: la confessione di Pietro. Invincibile per la parola di Cristo.
“A te darò le chiavi del regno dei cieli”.
Il potere delle chiavi (cf. Is 22,19-23) indica l’affidamento di un’autorità delegata, la potestà vicaria, esprime il compito di ammettere o escludere.
Verrebbe da dire: ma ammettiamo tutti! Abbattiamo le porte! Ma così verrebbero ammesse anche le potenze degli inferi, che sfascerebbero tutto. Il discernimento, la decisione e la fermezza sono necessarie. Ma traggono la loro forza dalla carne e dal sangue: possiamo contare sulla rivelazione del Padre.
“Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
“Legare e sciogliere” indicano l’interpretazione vincolante della legge per guidare gli uomini sul sentiero giusto.
Ed è qui che casca l’asino. Quante volte le porte degli inferi hanno prevalso sugli uomini di Chiesa! Vista dall’esterno, questa Chiesa appare troppo “carne e sangue” e troppo poco “cielo”!
Ma come Gesù può essere conosciuto solo nel discepolato – altrimenti l’apparenza esterna porta solo a verità parziali e a conclusioni ingannevoli – così la Chiesa può essere conosciuta solo dall’interno. Chi guarda le vetrate di una cattedrale da fuori, non vede altro che strisce di piombo e vetri scuri: bisogna star dentro per apprezzarne la bellezza. Ed è da dentro che si vede la gloria dei santi, la sublimità della dottrina, la consolazione della speranza, lo splendore della carità…
Ma gli scandali…? Un marinaio – fosse pure il capitano – può cadere in mare, ma non per questo la nave affonda. E la barca della Chiesa non affonda: Gesù l’ha promesso! Dobbiamo solo stare attenti noi a non caderne fuori.
* Cf. J. Ratzinger, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, pp. 333-352.
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