Perché la seconda settimana dopo Pentecoste si celebra la Solennità del Corpo e Sangue del Signore?
Come abbiamo detto domenica scorso, dall’Avvento a Pentecoste si ripercorre tutta la storia della salvezza, che è costituita dai grandi interventi di Dio a favore del suo popolo, eventi che ci fanno conoscere chi è Dio e realizzano nel tempo e nel mondo il mistero eterno della salvezza. Questa storia ha in Cristo il suo compimento decisivo e si realizza ogni giorno nella Chiesa.
I sacramenti sono le “meraviglie della salvezza” nel tempo presente: sono opere della potenza di Dio che, attraverso la mediazione di segni materiali (l’acqua, l’olio, il pane, il vino…), ci fanno partecipare al mistero pasquale di Cristo e al dono del suo Spirito, incorporandoci – ciascuno alla propria maniera – al Signore risorto .
L’Eucaristia è il centro e il vertice di questa economia di salvezza: il punto di arrivo che ricapitola la storia della salvezza e rende presente nel simbolismo sacramentale la “meraviglia” decisiva dei questa storia: la Pasqua di Cristo.
Gesù presenta se stesso dicendo:
Io sono il pane (Gv 6,51).
Tutti sappiamo che cos’è il pane: è cibo – ma non un cibo qualsiasi: è il nutrimento essenziale. Il pane è frutto della terra, ma richiede il lavoro dell’uomo. Il pane indica sopravvivenza, l’energia per lavorare… ma anche la condivisione e quindi la comunione intorno ad una mensa… Possiamo dire che il pane è un segno che riassume in sé tutta la vita umana.
Questo significa che Gesù è essenziale per noi come lo è il pane quotidiano, e significa che Egli è presente nelle cose di tutti i giorni, nelle nostre attività più concrete.
Ma Gesù specifica di essere il pane vivo e afferma che questo pane è la sua carne. Nel Natale abbiamo celebrato il Verbo che si è fatto carne, ora vediamo che questa carne è data a noi come pane vivo. Nella Pasqua abbiamo celebrato Gesù cha ha dato la sua carne per la vita del mondo ed è risorto. Nell’Eucaristia Gesù dà la sua carne nel segno del pane, ossia dona se stesso affinché noi possiamo partecipare della sua vita di risorto.
Nel Vangelo del giorno di Natale abbiamo udito che “In lui era la vita” (Gv 1.4). La vita è nel Figlio perché il Figlio dimora nel Padre, sempre (8,35). La prima parola che i discepoli rivolgono a Gesù è: “Maestro, dove dimori?”, e da quel momento anche loro andarono a dimorare con lui (1,35-42). Per avere la vita, dobbiamo “dimorare” con Gesù e lasciare che Gesù “dimori” in noi.
Questo accade anzitutto mediante l’ascolto della Parola, se le parole di Gesù rimangono in noi (15,7). Ma noi non siamo solo “pensieri e parole”, siamo anche carne e sangue: il nostro “rimanere” in Gesù non può essere solo un fatto mentale, deve diventare vita concreta. Si dice: dobbiamo quindi mettere in pratica la Parola; è vero! Ma ne siamo capaci? No. C’è bisogno che Gesù ci accolga in sé, c’è bisogno che lo assimiliamo così come si assimila il pane – o meglio: che Lui ci assimili a sé. Ed ecco il mistero dell’Eucaristia!
Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete in voi la vita.
Siamo abituati a chiamare l’Eucaristia “comunione”. Comunione significa che c’è un’unica vita – uno stesso sangue che scorre in Lui e in noi, significa che diventiamo osso delle sue ossa, carne della sua carne (Gn 2,22), così che non siamo più due, ma una sola carne (Mt 19,6).
E questo ci fa entrare in relazione con gli altri insieme a Cristo: quello che noi facciamo viene visto come fatto da Cristo, che dice: “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me” (Lc 10,16).
Che mistero esaltante! Tutta la vita cristiana, la vita eterna stessa è racchiusa in questo sacramento. E ci accade di essere così superficiali nei confronti dell’Eucaristia! Ci accade di banalizzare tutto: la frequenza diventa routine, la confidenza diventa mancanza di rispetto, di attenzione, di consapevolezza…!
La festa di oggi ci aiuti a recuperare la gioia, il rispetto, il timore e l’amore verso questo Sacramento per accogliere il grande dono di Cristo, la partecipazione alla vita stessa di Dio.
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