Domenica scorsa Gesù ci ha detto che, in quanto suoi discepoli, noi siamo il sale della terra e la luce del mondo. Oggi ci dice che c’è però una condizione da adempiere per essere sale e luce: bisogna che la nostra giustizia superi quella degli scribi e dei farisei (Mt 5,17-37).
Gli scribi sono la parte più istruita del popolo, i maestri nella conoscenza delle Scritture. I farisei sono i più impegnati nell’osservanza dei comandamenti. Dunque Gesù ci sta dicendo che se la nostra giustizia non supererà il meglio del meglio, non saremo suoi discepoli: non solo falliremo nella missione (saremo sale che viene gettato via e calpestato dagli uomini, saremo una lucerna messa sotto il moggio, che non illumina più nulla e dopo pochi istanti si spegna), ma addirittura non entreremo nel regno dei cieli, in cui ci sforziamo – nel nostro apostolato – di far entrare gli altri.
Concretamente cos’è questa giustizia? È la conformità alla volontà di Dio, è l’osservanza dei suoi comandamenti. “Se mi amate – dice Gesù – osservate i miei comandamenti” (Gv 14, 15). I comandamenti insistono sul fatto che la fede cristiana è un modo di comportarsi nel mondo: se abbiamo fede, se vogliamo portare gli altri alla fede, questa fede si deve vedere dal modo in cui ci comportiamo. Su questo mondo c’è una volontà del Padre che è in vigore. I segnavia concreti di questa volontà sono i comandamenti, così come sono formulati in modo durevolmente valido nella Legge e nei Profeti e come sono stati compiuti da Gesù. Essi non possono essere aggirati.
Tanto per essere concreti, Gesù richiama tre comandamenti fondamentali (nel decalogo sono il V, il VI e l’VIII) che, d’altra parte, costituiscono le delle tre condizioni fondatrici di una civiltà: la proibizione dell’omicidio, dell’adulterio e della menzogna.
Quando, nelle antitesi, Gesù dice: “Avete udito che fu detto agli antichi… Ma io vi dico…”, egli non chiede qualcosa di meno rispetto ai comandamenti: ne richiede l’osservanza piena, totale, rigorosa e radicale. “Gesù – dice Benedetto XVI – ci sta davanti non come un ribelle né come un liberale, ma come l’interprete profetico della Torah che Egli non abolisce, ma porta a compimento”.
Solo che ora la volontà di Dio, tramandata come Torah (legge), è una realtà vivente: Gesù è il Messia, è il Maestro unico che insegna la volontà di Dio perfettamente, con le sue parole e con la sua vita.
Gesù ci mostra nella sua persona che il centro della legge e dei profeti, il senso della giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei, sta nell’amore: questo è il compimento della legge. Il comandamento dell’amore non cancella i più piccoli comandamenti, perché per chi ama non c’è nulla di troppo piccolo da risultare indifferente: “Mi hai ferito il cuore – canta lo sposo del Cantico – mi hai ferito il cuore con uno solo dei tuoi sguardi, con una sola gemma della tua collana” (Ct 4, 7). E allora capisci che basta uno sguardo adulterino per disgustare lo sposo, basta una parola cattiva verso uno dei suoi figli per causargli dolore, basta un cedimento alla menzogna per ferire amaramente chi ti ama infinitamente e ti richiede una risposta adeguata. E se ami uno che ha dato la sua vita sulla croce per te, sarai ben disposto a tagliarti una mano o cavarti un occhio pur di stare con lui; pur di non dargli dolore, dirai anche tu, come il giovane san Domenico Savio: “La morte, ma non i peccati”.
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