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La domenica che cade nell’ottava di Natale è dedicata alla santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Il motivo è evidente: il Figlio
di Dio è venuto al mondo per mezzo di una donna, Maria, ed è stato accolto dallo sposo di lei, Giuseppe. È venuto per salvarci, e comincia la sua opera a partire dalla cellula fondamentale dell’esistenza umana, che è la famiglia.
La salvezza operata da Cristo consiste nel restaurare l’immagine di Dio nell’uomo rovinata dal peccato. Ma in cosa consiste quest’immagine di Dio? Certo nella capacità di conoscere – e in Cristo, Parola di Dio vivente, abbiamo la conoscenza della verità. Certo nella libertà del volere – e Cristo ci rende liberi dalla schiavitù del peccato. Ma non dobbiamo dimenticare la cosa fondamentale: Dio è Amore, e Cristo viene a restaurare soprattutto la nostra capacità di amare.
Dio è Amore, e l’amore presuppone l’incontro tra le persone. Dio è amore perché è comunione perfetta tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: tre persone che sono una cosa sola nell’amore. Tre persone in una comunione in cui “il mio” e “il tuo” non hanno spazio. Tre persone che vivono totalmente l’una per l’altra. Questo modello divino, si incarna anzitutto nella famiglia umana, ed è questa la prima realtà che beneficia della salvezza operata da Cristo.
Quest’anno, le letture ci inducono ad una riflessione particolare sull’autorità dei genitori e specialmente del padre, mediante la figura di san Giuseppe. Una riflessione particolarmente urgente per noi che oggi viviamo – come dicono i sociologi – in una “società senza padri”, una società che rifiuta il concetto di autorità, sia come esercizio sia come sottomissione.
Questo è uno dei frutti del peccato: la tendenza a intendere l’autorità come dominio, come despotismo, e quindi la sottomissione come schiavitù. La figura di san Giuseppe ci viene incontro come una luce salvifica in questa situazione.
La sua paternità – insegna Paolo VI – si è espressa concretamente «nell’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sé, della sua vita, del suo lavoro; nell’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni capacità nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa».
Facciamo in modo che questo dono della paternità non venga meno in mezzo agli uomini. Se è così importante, al punto che il Figlio di Dio – che pure non aveva bisogno di un uomo per essere concepito – ha voluto un padre sulla terra e lo ha scelto in Giuseppe, se Gesù stesso si è sottomesso alla sua autorità, se Maria – che pure era santissima e immacolata – ha accettato di essere guidata da Giuseppe… Impariamo anche noi ad accogliere l’autorità paterna non come un peso, ma come una custodia d’amore.
E se siamo chiamati, in un modo o nell’altro, ad essere padri, custodi e guide, lasciamoci ispirare da san Giuseppe tutto l’amore, tutta la tenerezza, tutta la fedeltà e tutta la responsabilità di cui abbiamo bisogno, perché il nostro servizio sia saldo come una roccia e accogliente come un abbraccio.
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