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In questo Natale vorrei soffermarmi su un mezzo versetto del Vangelo di Luca (2,7b)[i]:
Per loro non c’era posto nell’alloggio.
La frase ha il suo significato letterale: per una ragione o per l’altra, Maria e Giuseppe non trovano una casa, un tetto disposti ad ospitarli. Meditando nella fede queste parole, però, ci viene spontaneo collegarle ad un’espressione, ricca di contenuto profondo, del Prologo del Vangelo di Giovanni (1,11):
Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto.
Ma venne tra i suoi per far cosa? Per riscuotere un tributo? Per prendersi qualcosa? Per ricevere? No di certo! “Oggi è nato per voi un Salvatore”, dice l’angelo ai pastori. Viene per salvare il mondo. Egli è il creatore di tutte le cose, esse sono state fatte per mezzo di lui ed in vista di lui. Ma questo mondo, così bello, formato dalla sua parola, precipita nel dolore e nella morte perché il peccato degli angeli e degli uomini lo getta nel disordine e nel non-senso. Dunque egli viene a salvarlo…
Eppure, per lui non c’è posto! A un certo punto della sua vita pubblica, Gesù lo dirà esplicitamente: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8, 20). Colui che sarà crocifisso fuori della porta della città (Ebr 13, 12), nasce ora fuori dalla porta della città.
Questo deve farci pensare! Ci rimanda al capovolgimento di prospettiva che c’è nel Vangelo di Cristo, nella sua persona e nel suo messaggio: mentre i grandi della terra – Augusto imperatore, col suo censimento, Quirino governatore della Siria, Erode e i sommi sacerdoti – mentre tutti costoro pensano agli affari che credono importanti, Dio compie il suo mistero di salvezza davanti a pochi poveri pastori. Fin dalla sua nascita, Gesù non appartiene all’ambiente che, secondo il mondo, è importante e potente.
Ma proprio quest’uomo irrilevante e senza potere, questo bambino neonato, fragile e indifeso, che ha una mangiatoia come culla, si rivela come il veramente potente, come colui dal quale, alla fine, dipende tutto.
A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12).
Ma cosa significa accoglierlo? Si tratta di lasciarsi illuminare dalla luce della sua venuta.
I pastori vegliano nella notte, al buio, per cui possono essere colpiti dalla grande luce in cui risuona per loro l’annuncio del Natale. Noi, invece, viviamo in un mondo di luci artificiali. Avete mai provato a guardare le stelle nel cielo da sotto un lampione? Non le vedete, perché la luce del lampione le nasconde. Così è per la salvezza di Dio: splende, illumina… ma noi non la vediamo perché gli occhi della nostra mente sono accecati dalle luci artificiali con cui il mondo ci frastorna.
Tutti la pensano così…! E noi ci lasciamo convincere che sia normale pensarla così. Tutti vogliono determinate cose…! E noi ci lasciamo condizionare e vogliamo anche noi quello che vuole il mondo. Tutti fanno così…! E allora facciamo anche noi quello che fanno tutti. Come siamo diversi dai pastori! Siamo piuttosto simili a pecoroni.
Abbiamo così trovato posto per noi nell’alloggio, secondo la mentalità del mondo. Solo che in questo alloggio, Gesù non ci può stare: non c’è posto per lui! Ma se non c’è Gesù, non c’è la salvezza, e tutto continua a precipitare nel disordine, nel dolore, nella morte.
Usciamo, dunque, anche noi dai comodi alloggi del mondo. Usciamo dalle logiche del conformismo, dalle posizioni “politicamente corrette”! Abbiamo il coraggio di chiamare “tenebre” le luci artificiali che ci impediscono di accogliere la luce vera! E allora anche per noi si ripeterà il miracolo del Natale: come i pastori vedremo la gloria di Dio e otterremo la gioia della salvezza.
[i] Traggo lo spunto di questa riflessione da J. Ratzinger-Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, Milano-Città del Vaticano 2012, pp. 79-80.
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