Che cos’è una parabola? È un racconto che ti invita a identificarti con uno dei personaggi e in questo modo ti stimola a riflettere: in un caso simile tu che faresti?[*]
In Lc 16, 1-9 Gesù racconta una storia ambientata in un ambiente di gente poco per bene (“i figli di questo mondo”). Qui troviamo l’amministratore infedele di un uomo ricco che viene accusato di cattiva gestione e sottoposto a procedura di licenziamento. Ebbene, se capitasse a te, che faresti? Il personaggio del racconto ha un’idea. Sa che il suo padrone ha molti debitori e l’amicizia di questa gente gli può tornare utile per procurarsi un altro impiego. Quindi, siccome ha ancora in mano la contabilità, falsifica le ricevute a vantaggio dei debitori in modo da associarli alle sue malefatte: se li fa complici e in qualche modo si compra la loro riconoscenza.
Ebbene, tu come lo giudichi? Troppo facile dire: “disonesto”! Nel contesto del racconto sono tutti disonesti. Ma vi sono disonesti stupidi e disonesti furbi. Il nostro personaggio è stato furbo. Talmente furbo che il padrone stesso è costretto a lodare la sua scaltrezza.
A questo punto, Gesù applica la parabola a noi: “Ebbene io vi dico…”, anche voi siete amministratori di qualcosa: i beni materiali, le ricchezze, il tempo, la vita stessa… Non sono nostri ma di Dio: noi ne siamo semplici amministratori. E anche noi rischiamo di sperperare questi beni, usandoli come se appartenessero a noi e non a Dio.
Dio ha creato gli uomini tutti uguali. Ed ha creato i beni della terra affinché servissero a tutti gli uomini. Ora perché noi ne abbiamo in sovrabbondanza e altri uomini non ne hanno affatto? Perché noi ci ammaliamo perché mangiamo troppo, mentre milioni di persone muoiono di fame? “Sei un ladro – dice san Basilio – perché la doppia veste che tieni riposta nel tuo armadio appartiene al povero che va nudo!”
Tutti noi dunque abbiamo una “disonesta ricchezza”, e a tutti sarà chiesto di rendere conto del nostro operato e l’amministrazione ci verrà tolta. Che fare?
Una soluzione c’è: agire con scaltrezza, come l’imbroglione della parabola! Procuriamoci amici con la disonesta ricchezza! I beni non appartengono a noi, ma a Dio. Allora usiamoli per alleviare le sofferenze degli affamati, degli assetati, di quelli che sono non hanno di che vestirsi, non hanno casa, sono malati, sono carcerati… E quando l’iniqua ricchezza verrà a mancare (perché, che ci piaccia o meno, dobbiamo morire tutti quanti e all’altro mondo non porteremo né soldi, né case, né titoli), saranno i poveri che abbiamo aiutato sulla terra che ci accoglieranno in cielo. Anzi, ci accoglierà Gesù stesso che dirà: “Venite, benedetti del Padre mio, perché… tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (cf. Mt 25,31- 48).
Allora vedete che non è solo questione di elemosina, ma di giustizia, di onestà. Non facciamo nessun regalo quando distribuiamo i beni ai poveri, facciamo giustizia: i beni sono del Padre, e il Padre vuole che ogni figlio abbia la sua parte!
E dal nostro modo di amministrare i beni dipende il nostro destino eterno: “Chi è fedele in cose di poco conto (i beni di questa terra) è fedele anche nelle cose importanti (i beni del cielo)”. Non possiamo fare gli ipocriti, pretendere di servire Dio ed essere attaccati ai soldi, aspettando che Dio ci salvi per le nostre pratiche religiose: così serviamo a due padroni, Dio e la ricchezza.
Se facciamo così siamo simili a quei mercanti contro i quali si scaglia il profeta Amos (8,4-7): osservano le prescrizioni religiose del sabato e del novilunio, ma come un peso: il loro cuore non sta con Dio, ma con il denaro, per amore del quale sono pronti a imbrogliare e addirittura a spingere i loro fratelli a vendersi come schiavi per debiti (comprare il povero per un paio di sandali).
Facciamoci quindi un bell’esame di coscienza: serviamo Dio o il denaro?
[*] Cf. V. Fusco, Oltre la parabola. Introduzione alle parabole di Gesù, Roma 1983, p. 110.
L’ha ripubblicato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
XXV Domenica T.O. Anno C 2019