Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse… (Lc 14,25-33)
Molta gente. Gesù non si entusiasma per le masse. Tante volte noi siamo dipendenti dal consenso, dal numero. Per questo annacquiamo il messaggio, proponiamo un vangelo alla “volemose bene”: un messaggio che non disturba nessuno, che non chiama a fare delle scelte precise e costose.
Molta gente andava dietro a Gesù. E molta gente gli va dietro anche oggi. Ma ci sono due modi di andargli dietro: uno è quello della folla, l’altro è quello dei discepoli.
La folla va dietro a Gesù quando gli conviene: quando vede i miracoli, quando Gesù distribuisce i pani… Cristo è uno che mi serve per soddisfare un mio bisogno: fosse pure un bisogno religioso, io sto al centro. Io sono il signore, e il Signore è il mio servo.
Ma Gesù non si piega a questo gioco. Per questo dice parole durissime, che la nuova traduzione tende a nascondere. Abbiamo infatti ascoltato:
Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Probabilmente però abbiamo ancora nella memoria la vecchia traduzione che, rendendo letteralmente il testo greco, recitava:
Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Vi ricorderete che una volta Gesù aveva detto ad un uomo “Seguimi!”, e quello aveva risposto. “Signore, prima permettimi di andare a seppellire mio padre” (Lc 9, 59). C’è la legge che dice “onora il padre e la madre” (Es 20, 12), e la legge vincola. Quell’uomo sapeva ciò che si deve fare: prima adempiere la legge e poi mettersi alla sequela di Gesù. Un chiaro comandamento della legge si frapponeva tra colui che era chiamato e Gesù. Ma Gesù si contrappone con forza persino al comandamento della legge: quando si tratta di andare dietro a lui, niente deve mettersi in mezzo tra te e lui, neppure il motivo più grande e più sacro della legge. In questo momento deve accadere che per amore di Gesù venga infranta la legge che voleva frapporsi a ostacolo. Persino la legge dell’more non ha più alcun diritto di mettersi in mezzo tra Gesù e il destinatario della sua chiamata.
Gesù formula l’ammonizione scegliendo i rapporti più sacri su questa terra (padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle) e il verbo più brutale (odiare). Tutto va subordinato a Cristo: Lui è l’unico che ha il diritto di stare al primo posto.
Per cui se c’è un contrasto fra la volontà dei tuoi genitori e la volontà di Cristo, devi scegliere Cristo. Altrimenti non sei suo discepolo. Per cui se tuo marito o tua moglie vuole costringerti a peccare, devi rifiutarti. Altrimenti non sei degno di Cristo. Per cui se il Vangelo deve portarti a dire una parola dura ai tuoi figli e tu non lo fai perché tieni più al loro affetto che a Cristo, non sei degno di Cristo.
Odiare, ovviamente, qui non significa “voler male”; non significa però nemmeno banalmente “amare di meno”, perché bisogna invece amare di più: la misura dell’amore è amare senza misura. Qui odiare significa semplicemente “essere disposti a perdere”. Sei disposto a perdere i tuoi averi? i tuoi familiari? la tua vita?
Davanti all’esigenza di seguire Cristo, perfino la propria vita deve essere messa da parte.
Chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Cosa significa prendere la propria croce? Significa rinunciare all’idolo dell’egocentrismo, rinunciare all’idolo del successo, della gratificazione, del prestigio, del godimento. E ricercare solo Cristo, solo il suo regno.
Certo mi direte che è difficile. E infatti lo è! Ma chi va dietro a un Maestro crocifisso non può aspettarsi una vita comoda.
Gesù parla chiaro. Dice quali sono le condizioni. Ora dobbiamo vedere noi se ce la facciamo o meno. Dobbiamo sederci e farci i conti come chi vuole costruire una torre o chi vuole andare in battaglia. Non è possibile illudersi di essere cristiani. O si va dietro a Cristo oppure a se stessi.
Nella Lettera a Filemone possiamo vedere cosa significasse per i primi laici cristiani rinunciare ai propri beni. Questo tale a cui s. Paolo scrive aveva uno schiavo, di nome Onesimo, che era fuggito cercando scampo presso l’apostolo. Paolo, già prigioniero dei Romani, l’aveva accolto e battezzato (l’ha generato in catene). Ed ora gli prepara la strada del ritorno.
Ed ora vedete quale impegno richieda a Filemone: tu avevi uno schiavo, ora non l’hai più: hai un fratello carissimo.
Gesù aveva detto:
Chi non rinunzia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo.
Filemone deve rinunciare ai suoi diritti di padrone per diventare fratello del suo schiavo. E noi a che cosa dobbiamo rinunciare?
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