Gesù pone una domanda chiara:
“Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra?” (Lc 12,51).
Beh? Lo pensiamo sì o no? Sì, Signore, lo pensiamo. Quando tu sei nato, gli angeli hanno cantato: “Pace in terra agli uomini che Dio ama” (Lc 2,14). Tu stesso dopo la tua risurrezione hai salutati i discepoli dicendo: “Pace a voi” (Gv 20,19.21.26). Per questo ci risulta strano che tu ora ci dica di non essere venuto a portare la pace, ma la divisione!
Forse perché la parola “pace” è assai ambigua[1]. Banalmente, si dice che c’è pace quando non c’è guerra, ma spesso con questa parola designiamo qualcosa di più: vogliamo “starcene in pace”, essere “lasciati in pace”, “pace” viene significare addirittura “benessere”… E quando la pace è intesa così, allora la stessa religione diventa uno strumento per raggiungerla; in particolare la ricerca di meditazione, le tecniche per rilassare la mente ed acquisire equilibrio interiore e quindi “pace”… Un desiderio di pace, però, molto psichico (centrato su se stessi) e assai poco spirituale (centrato su Dio)!
La vita odierna, in realtà, è tutta assai psichica: viviamo in ascolto ossessivo dei nostri umori, ci sentiamo sempre in debito nei confronti di noi stessi, siamo concentrati sui nostri vissuti emotivi e – siccome questi sono spesso sgradevoli – li consideriamo come prove della nostra inadeguatezza. È l’avvitamento dell’anima su se stessa. Ma è proprio questo ripiegamento su noi stessi che ci toglie la pace, esponendoci a vertiginose oscillazioni interiori.
La pace vera, la pace che è dono di Dio, è ben diversa. Essa nasce da una conversione totale di ogni singola persona, da una sincera accoglienza del dono di Dio, da un cuore nuovo, da uno spirito nuovo: tutti doni di Dio! Essa nasce da un cuore colmo di quell’amore che Gesù ci ha insegnato. Come fondamento della pace c’è il suo comandamento: “Amatevi come io vi ho amato” (Gv 13,34 //).
Gesù è la nostra pace, è venuto ad annunciare la pace (cf. Ef 2,14-18) amandoci non a parole, ma per mezzo della croce. Questo possiamo capirlo solo
“tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio” (Ebr 12,2).
Osserviamo Gesù nel cenacolo, la notte in cui fu tradito. Non poteva non soffrire, eppure, nel lungo dialogo che intrattiene con i suoi discepoli dopo che Giuda se ne è andato, chiede loro di amarlo, osservando i suoi comandamenti e promettendo loro lo Spirito Santo, e aggiunge: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace; non come il mondo la dà io la dono a voi» (14,27). Non è il solito saluto di congedo quello di Gesù. L’evangelista contempla Gesù come un patriarca che, prima di lasciare i suoi, dona loro in eredità quello che possiede: la pace. Egli sa che la morte si avvicina e dà senso alla sua morte rendendola fonte di riconciliazione e di pace. Questo dice che Gesù nella sua passione è sempre in comunione con il Padre ed è guidato dallo Spirito, questa è la comunione gli che infonde serenità e pace.
Quando Gesù, immagino con tanta tristezza, dice:
“Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, ma la divisione” (Lc 12,51),
sa di essere nella storia un “segno di contraddizione” (Lc 2,34). E sa che questa contraddizione continuerà per mezzo dei suoi discepoli nella storia. La pace di Cristo, al contrario di quella del mondo, ha essenziale bisogno di ospitare la divisione e la spada, di non rimuovere cioè le ragioni di lotta e inquietudine, che i rapporti umani di necessità comportano.
La storia di Geremia (38,4-10), ci mostra un fatto costante: i falsi profeti promettono la pace quando invece il giudizio di Dio sta per abbattersi sul popolo infedele. Il dono divino della pace invece deve fare i conti con tensioni e tribolazioni che arrivano oggi e proseguiranno domani[2].
Il Vangelo, raggiungendo le persone, scombina le relazioni familiari e sociali che offrivano finora una certa armonia nel popolo:
“D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi re contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera” (Lc 12,52-53).
Perché? Perché il Regno di Dio non si fonda sui legami naturali o sulle convenzioni sociali, ma sulla fede e sulla carità.
Ma questo prezzo non è troppo alto? Non è assurdo che l’annuncio dell’amore faccia scaturire l’odio? No. Se è la parola di Dio a dividere, essa è come il bisturi del chirurgo che taglia per guarire.
Gesù non desidera la divisione, non ci esorta a litigare con i nostri familiari. Rivolge invece un appello a favore del vangelo – che è come un fuoco che divampa. E quando ciò avviene, non è possibile rimanere neutrali per conservare una “pace” illusoria. Alcuni accettano il Vangelo, altri lo rifiutano.
La divisione portata da Cristo è la sua croce che porta alla risurrezione: provoca scissione, ma edifica la vera comunità e dona la pace autentica.
[1]Cf. G. Angelini, I frutti dello Spirito, Milano 2003, pp. 51-74.
[2]Cf. F. Bovon, Luca, vol. II, Brescia 2007, pp. 386-388.
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