La salvezza è per tutti, ma c’è una condizione chiara per accedervi: capire che non ci salviamo con le nostre forze, con la tecnologia, con le ricchezze. Chi entra in quest’ordine di idee comincia ad arricchirsi davanti a Dio, donando ai poveri, accettando di dipendere da lui in tutto, cercando il Regno che il Padre ha voluto donare a noi, piccolo gregge, pronto a riceverlo come un amministratore fedele (Lc 12, 32-48).
Potremmo dire che l’uomo diventa ciò che spera. O che dov’è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore. Se uno spera la salvezza soltanto da se stesso, se uno mette il suo cuore nelle borse a cui i ladri possono arrivare, che la tignola può consumare… in ultima analisi aspetta la morte, diventa figlio della morte e produce morte. Chi attende il Regno di Dio, ossia il Signore Gesù, ha la sua stessa vita di Figlio del Padre. L’esistenza cristiana è attesa di colui che viene: il Signore che torna dalle nozze!
Ma il tempo dell’attesa non è vuoto. È tempo della salvezza, affidata ormai alla nostra responsabilità. A questo proposito, Gesù racconta tre brevi parabole.
La prima presenta un signore che si allontana da casa per un invito a nozze (v. 36). I festeggiamenti duravano vari giorni, quindi anche la sua assenza poteva protrarsi a lungo. In tale circostanza veniva messa alla prova la fedeltà e la laboriosità dei sudditi, come dei responsabili della casa. L’evangelista passa all’applicazione della parabola prima di averla enunciata, esortando i fedeli ad assumere un atteggiamento responsabile e vigilante come dovrebbero comportarsi i servi nell’assenza del padrone. Il simbolo e il segno della vigilanza è la lampada accesa. Chi vuol dormire spegne la lucerna; chi si vuol tenere desto alle chiamate del padrone rimane con la lampada accesa. Infatti queste possono giungere anche di notte, persino nelle ore piccole, dopo mezza notte o prima dell’alba. Egli deve dar prova perciò di aspettare anche nelle ore insolite. Il sacrificio potrà apparire grande, ma anche la ricompensa sarà grande. Il padrone, commosso dalla devo-zione e fedeltà nei suoi riguardi, accorderà ai servi una ricompensa adeguata, superiore all’attesa. Incurante degli usi e della sua dignità, fa sedere i servi alla tavola che era imbandita per lui e si cinge ai fianchi un grembiule e si mette a servirli. Da padrone diventa servo, e il servo diventa commensale, amico del suo signore (v. 37).
La necessità della vigilanza è ribadita dalla parabola del ladro (v. 39) e dalla successiva esortazione. Occorre saper attendere con la stessa solerzia che si richiede per pre¬venire un furto (v. 39): il ladro non manda mai preavvisi, uno scassinatore non ha orario d’ufficio!
La domanda di Pietro: “Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?” (v. 41) dà adito a una nuova para¬bola o a un nuovo sviluppo del racconto precedente (vv. 42-48). Si parla ancora di servi, ma questa volta sembra che si tratti di sorveglianti, incaricati della manutenzione e amministrazione della casa nell’assenza del padrone. La parabola quindi risulta pronunciata per i responsabili della comunità, non per la folla o per i discepoli indistintamente. Anche qui si prospetta la possibilità di un servizio fedele e intelligente (vv. 42-44), o di un comportamento irresponsabile, dispotico (vv. 45-48). Come nell’assenza del padrone i servi rischiavano di addormentarsi, così l’amministratore è in grado non solo di trascurare i suoi compiti, ma anche di abusare del suo ufficio che è quello di provvedere la servitù del necessario sostentamento. Egli non è il padrone della casa, deve solo eseguire gli ordini ricevuti, che in questo caso riguardano la giusta razione di viveri da consegnare nel giusto tempo (v. 42). Da un economo si pretende, dirà Paolo, che sia trovato fedele (2 Cor 4,2).
La ricompensa che tocca ai servi vigilanti e all’ammini-stratore fedele è la stessa: la gioia del dovere compiuto (vv. 37.43) e la benevolenza del padrone. L’amministratore diligente sarà promosso a un ufficio superiore, addirittura avrà su di sé la responsabilità di tutti i beni del padrone (vv. 43-44). Si tratta infatti di un signore così generoso che fa sedere al pro¬prio posto i suoi domestici e si pone a servirli di persona, che chiama gli amministratori a condividere tutta la sua responsabilità. La figura del buon amministratore acquista risalto dal confronto con quella di un collega dimentico dei suoi doveri (v. 45).
Quando il padrone è partito per una festa nuziale, la data del suo ritorno non è mai sicura. Tale circostanza dovrebbe tenere sempre desti i servi, ma può essere anche l’occasione per assumere atteggiamenti sbagliati, falsi. L’abuso di potere è la tentazione in cui cade di frequente chi si crede investito di un’autorità insindacabile. Normalmente si dimostra nell’aggressività contro i subalterni, nelle crapule, gozzoviglie, ecc. All’improvviso rientro del padrone la condanna sarà inevitabile (v. 46): ha abusato del suo ufficio, gli sarà perciò tolto. Mentre il servo fedele è stato promosso a un incarico più elevato, questo amministratore perde anche quello che ha, sarà tagliato perciò fuori e per di più sarà cacciato con i servi infedeli, in un luogo di punizione.
La parabola offre l’occasione per approfondire il tema delle responsabilità dei servi-economi e del trattamento che meritano (vv. 47-48). L’autore contempla il caso di chi era al corrente delle decisioni del padrone, ma non ha fatto nulla, nemmeno un tentativo per attuarle; egli avrà una punizione adeguata alla sua negligenza, riceverà cioè molte percosse invece di un adeguato premio (v. 47); chi si è comportato male perché non ha conosciuto la volontà del padrone, riceverà un castigo, ma inferiore, perché avrà la scusante di non essere bene informato sul suo dovere. Gli obblighi sono in proporzione agli oneri ricevuti; così il rendimento è in rapporto ai favori, incarichi accordati. Durante l’as¬senza del padrone i «servi» non debbono dormire o starsene oziosi. Essi hanno ricevuto particolari incombenze, debbono saperle assolvere.
Il richiamo alla venuta del Signore è essenziale. Il cristiano può essere forte, coraggioso e fedele perché attende non le ricchezze, il potere o la morte, ma il suo Signore. E noi, che cosa attendiamo?
L’ha ripubblicato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
XIX Domenica T.O. Anno C 2019