Quante liti familiari hanno origine da questioni di eredità! Non c’è niente di nuovo sotto il sole: anche ai tempi di Gesù era così, e così è stato sempre, sin dai tempi di Caino e Abele.
L’uomo religioso avverte che questioni di questo tipo vanno portate davanti a Dio, che il modo di gestire i rapporti economici e i rapporti fraterni ha a che fare con la nostra fede, che l’amministrazione delle le ricchezze e la loro giusta distribuzione deve essere regolata secondo Dio.
Si capisce, quindi, la richiesta rivolta a Gesù da “uno della folla” (cioè non un discepolo, ma uno dei tanti che sono in qualche modo attratti dalle parole e dai miracoli del Signore): Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità.
Se – come alcuni ipotizzano – il fratello di questo tale era (lui sì) un discepolo di Gesù, la richiesta appare comprensibilissima e ci aspetteremmo un qualche intervento del Maestro che mettesse pace tra questi fratelli: la pace non è forse l’opera della giustizia?
Ma Gesù ci spiazza: egli rifiuta questa parte di giudice o mediatore sugli uomini. Viene da chiedersi: perché? Non sarebbe un’opera di misericordia quella di esercitare un arbitrato che porti alla riconciliazione dei fratelli?
Certo che lo sarebbe, e tanti santi l’hanno fatto. Ma il compito di Gesù è molto più profondo, la sua misericordia è infinitamente più alta. Egli non risolve in superficie la discordia, ma denuncia la radice di tutte queste liti tra fratelli: l’avidità, la brama di possedere: Guardatevi e tenetevi lontani da ogni cupidigia.
E qui il nostro buon senso casereccio si ribella: eh, diciamo, queste sono parole facili a dirsi, ma abbiamo bisogno di denaro, abbiamo bisogno di garantirci una sicurezza economica; infondo la nostra vita dipende da questo!
E invece Gesù aggiunge la parabola del ricco stolto, per far comprendere quanto sia sbagliato riporre le proprie speranze nei beni materiali. Un possidente aveva ottenuto un grande raccolto e la sua unica preoccupazione a questo punto sembrava quella di costruirsi dei magazzini più grandi e quindi godersi la vita per molti anni su questa terra; ma la vita gli fu richiesta quella stessa notte. Di fronte alla morte, tutto quello che aveva guadagnato, di chi sarà?
Risuonano a questo punto le parole del Qoelet: ha lavorato, ha faticato, ha accumulato beni… e poi se ne va nella tomba e lascia tutto a un altro. Vanità di vanità: vuoto, inconsistenza, fatica sprecata, vita sprecata.
Giovanni Verga ha scritto una interessante novella dal titolo “La roba” che è un po’ una parafrasi di questa parabola: è la storia di Mazzarò, un contadino nato povero che era riuscito, con dura fatica, astuzia, sfruttamenti e rinuncie, ad accumulare una grande quantità di terreni, pascoli e animali. Giunto alla vecchiaia, i suoi conoscenti cercano di fargli presente che è giunto il momento di pensare all’aldilà e di prendersi cura della sua anima, ma al pensiero di staccarsi dalle sue ricchiezze, Mazzarò impazzisce ed esce sull’aia ammazzando a colpi di bastone le galline e gli altri animali gridando: “Roba mia, vienitene con me”.
Oggi, la mentalità consumistica sembra disposta ad accettare una parte di queste riflessioni: certo, non vale la pena di accumulare facendo sacrifici; meglio godersi la vita, consumare tutto, spassarsela e non pensare al domani. L’insegnamento di Gesù, invece è totalmente differente.
Peché oggi giudichiamo stolto l’ingordo accumulatore di beni? Perché non se li gode lui stesso! Perché invece è detto stolto da Gesù? Perché non arricchisce davanti a Dio. Sappiamo che per Gesù “arricchire davanti a Dio” significa fare l’elemosina, farsi un tesoro nel cielo, sbarazzarsi della ricchezza disonesta, facendosi con essa amici per il cielo. L’opposto dell’arricchire davanti a Dio è accumulare tesori per sé.
Tutto prende significato dal fatto che, con Gesù, ci troviamo davanti all’ora decisiva; discutere di eredità da spartire, o pensare solo a ingrandire i granai, quando il Regno è alle porte, è cecità e stoltezza grande. Dunque la ragione profonda che fa apparire stolto il ricco avaro è l’esistenza e l’imminenza di un altro mondo.
La Lettera ai Colossesi (3, 1-11) ci offre l’occasione per completare questo insegnamento di Gesù: Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio…
Dopo la Pasqua di Gesù, i beni terreni si presentano in modo diverso da prima: affannarsi per le cose di quaggiù, puntare tutto su di esse, adesso appare assurdo per un motivo più forte di tutti: il mondo nuovo è già iniziato; con la risurrezione di Gesù si è aperta la porta del Regno; si può entrare già da ora, anzi, bisogna affrettarsi per non restare fuori. Tutto avviene ancora “di nascosto”, come nella notte: Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Ma è nella fede che si apre la via della gloria. In questa nuova situazione, attardarsi come formiche per ammassre provviste, come se nulla fosse accaduto, è davvero vanità di vanità, stoltezza di stoltezza.
Ma cosa significa cercare le cose di lassù e non quelle della terra? Non significa trascurare i propri doveri terreni (lavoro, studio, famiglia, impegno sociale); significa cercare queste cose da risorti con Cristo; dunque con spirito nuovo, con intenzione nuova, con uno stile nuovo. Infatti, cosa condanna Paolo? non certo il lavoro o la sollecitudine per il prossimo. Condanna quella avarizia insaziabile che è idolatria.
Sì, idolatria, perché è evidente che i beni terreni, ricercati ossessivamente per se stessi, diventano un padrone, un assoluto, l’idolo di metallo fuso di cui parla la Bibbia, al quale si sacrifica tutto: riposo, salute, affetti, amicizie, onestà. E il cuore gli va dietro, “perché dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”. Impariamo dunque a mettere il nostro tesoro nel cielo, e utilizziamo i beni della terra per il bene dei nostri fratelli che in cielo ci accoglieranno.
L’ha ripubblicato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
XVIII Domenica T.I. Anno C 2019
Gesù ci chiede di staccarci non solo dalla cupidigia, ma anche dagli affetti umani. A volte, infatti, può succedere che una eredità, che non è stata divisa equamente, generi un sentimento di sofferenza non tanto per il denaro, ma per l'ingiustizia commessa che può essere vista come una mancanza di considerazione della propria persona o una mancanza di affetto nei propri confronti. Abbiamo bisogno di essere considerati, di sentirci amati. Gesù ci chiede di superare anche questo. Se crediamo veramente, se mettiamo Dio al primo posto nella nostra vita, riusciamo a dare poca importanza alle ingiustizie, in considerazione della fragilità umana, che è presente in tutti. "Chi è senza peccato scagli la prima pietra"(Giovanni 8, 1-11). Allora, chiediamo a Gesù di mandarci lo Spirito Santo, perché, staccati dalle cose di questo mondo, possiamo conseguire la salvezza eterna.