17. domenica “per Annum” – C
Molti anni fa, mi capitò tra le mani un libretto di introduzione alla preghiera, che cominciava con queste parole: “Tutti pregano”; e giù una serie di esempi: la gente sull’aereo quando sta per decollare, chi deve affrontare una prova impegnativa, chi ha una preoccupazione familiare o di salute o economica…
Devo dire che la cosa non mi convinceva allora e meno che mai mi convince adesso. Non è vero che tutti pregano. Pregare significa rivolgersi ad un Dio personale, uno che è capace di ascoltare, che è interessato a farlo, che può aiutare. E. per tanti, questo Dio semplicemente non esiste.
Con questo non intendo dire che la preghiera non sia un bisogno umano. È un bisogno umano anche quello di essere felice – ma non tutti sono felici. È un bisogno umano quello di mangiare, ma alcuni non hanno da mangiare ed altri, pur avendone, rifiutano il cibo.
Non tutti pregano. Prega chi ha conosciuto Dio. Chi l’ha conosciuto bene o meno bene, prega bene o meno bene; chi l’ha conosciuto male, prega male. Un sacerdote mi raccontò di aver incontrato una donna che camminò una notte intera, scalza, seguendo una processione devozionale, impetrando una grazia che le stava particolarmente a cuore, con pianti, preghiere e suppliche. Commosso, il sacerdote le disse: “Signora, se mi confida la sua intenzione, pregherò per lei e la ricorderò nella Messa”; e la donna: “Sì, grazie, padre! Preghi perché mia nuora possa morire prima di Natale!”. Quella donna pregava… Ma pregava male, perché conosceva male Dio.
Sicuramente nessuno tra noi si trova in quella infernale condizione. Tuttavia può capitarci di avere idee sbagliate sulla preghiera: ad esempio pensare che pregare significhi adempiere ad un obbligo, rispettare una certa contabilità devozionale, fatta di formule, di numeri, di schemi rigidi, che “valgono” o “non valgono”, che sono più o meno efficaci per convincere Dio a fare quel che vogliamo noi o, in ultima analisi, per ottenere una qualche benevolenza divina. Una preghiera di questo tipo è forse più simile alla superstizione che alla fede, e deriva da una cattiva conoscenza di Dio.
Noi non dobbiamo pregare per ottenere la benevolenza divina: quella l’abbiamo già! Guardiamo Abramo. Egli ha conosciuto l’amicizia di Dio, non tanto perché lui si confida con Dio quanto perché Dio stesso si confida con lui: “Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare?»” (Gn 18, 17).
C’è il grido del peccato di Sodoma e Gomorra, l’ingiustizia che richiede l’intervento del Dio giusto; e c’è la benevolenza di Dio stesso, la sua amicizia per l’uomo. Proprio perché Abramo conosce il vero Dio, egli può e deve pregare e intercedere per gli uomini: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? … Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Abramo prega bene perché conosce bene Dio ed è pienamente sintonizzato sulla sua giustizia e sulla sua benevolenza.
Noi siamo persino avvantaggiati rispetto ad Abramo, perché la giustizia e la benevolenza di Dio si sono manifestate pienamente in Gesù Cristo. La preghiera dei cristiani nasce guardando lui.
La pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato si apre con Gesù che prega: è lui che conosce il Padre veramente, è lui che prega in modo perfetto. E guardandolo pregare, i discepoli si accorgono di non aver mai pregato sul serio fino ad allora; per questo gli rivolgono la richiesta: “Signore, insegnaci a pregare”.
E Gesù risponde: “Quando pregate, dite: «Padre»”.
Interpretare l’insegnamento di Gesù come la trasmissione di una formula sarebbe quanto mai deviante. Gesù ci fa innanzitutto conoscere chi è Dio, perché solo chi conosce il vero Dio può pregare bene. E Dio è Padre. È come se Gesù dicesse ai discepoli: anche alcuni di voi sono padri; certo i padri umani hanno tanti limiti, sono anche cattivi, eppure sanno dare cose buone ai loro figli. Quanto più Dio, che è il vero Padre buono, darà cose buone ai suoi figli! Ciò significa che possiamo pregare perché Dio è il nostro Padre buono!
E siccome l’idea del Padre, da sola, rischia di mettere in soggezione, Gesù ricorre all’immagi-ne dell’amico. Anche tra noi vi sono relazioni di amicizia, e gli amici sanno di poter contare gli uni sugli altri. Se un amico arriva a casa tua da un viaggio, tu gli dai da mangiare. E se non hai pane, ma c’è un amico che abita nella casa accanto che ne ha, vai a chiedere il pane in prestito al tuo amico. Certo, l’amicizia umana ha dei limiti: il tizio potrebbe stare a letto, potrebbe non voler scomodare la famiglia… però l’insistenza dell’amico, alla fine, ottiene ciò che vuole. Ma noi possiamo contare sull’amicizia di Dio, che non dorme mai, che non teme di scomodare nessuno, che ci dice, tramite il suo Figlio: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”. Possiamo pregare, dunque, perché siamo gli amici di Dio, perché Dio è nostro amico!
Sì, però… tutti abbiamo fatto l’esperienza di chiedere a Dio qualcosa e di non ottenerla. La donna che chiedeva una pronta morte per la sua nuora, grazie a Dio, non l’ottenne! Ma noi stessi, anche quando chiediamo qualcosa di oggettivamente buono (la guarigione da una malattia, la soluzione di un conflitto o di un problema economico…), alle volte non l’otteniamo. Perché? A questo punto dobbiamo accogliere più profondamente l’insegna-mento di Gesù, che non riguarda soltanto il fatto della preghiera, ma anche il suo contenuto.
Cosa dobbiamo chiedere a Dio?
– Che sia santificato il nome del Padre, ossia che noi diventiamo capaci di riconoscerlo nella sua paternità santa, nella sua santità paterna.
– Che venga il suo regno, che è amore, pace, gioia, per tutte le creature.
– Che ci dia ogni giorno il quotidiano: che diventiamo capaci di onorare il pane sulle nostre tavole e di condividere il pane con chi ha fame; ma Gesù ci fa chiedere anche il pane che nutre lo spirito: la sua parola, l’eucaristia: è Gesù è vero pane.
– Che siano perdonati i nostri peccati e diventiamo ministri di perdono per i nostri fratelli.
– Che siamo liberati dalla tentazione.
Tutto questo si può riassumere in una sola richiesta: chiediamo che ci venga dato lo Spirito Santo. E su questo abbiamo l’assicurazione di Gesù: il Padre darà infallibilmente lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono.
L’ha ripubblicato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
XVII Domenica T.O. Anno C 2019
Di solito parlo con Dio direttamente chiedendogli cose buone (salute, pace, salvezza eterna, ..) per me e per gli altri. A volte cerco di pregare meglio, di arrivare in modo efficace a Dio, con preghiere di intercessione, di guarigione, che cerco in internet.
Due giorni fa mi chiedevo come pregare per chiedere a Dio di aiutarmi. Mi è venuta in mente la preghiera del “Padre nostro” e ho pensato: “Questa preghiera è la migliore perché ce l’ha insegnata Gesù in persona. Egli ci ha detto che il Padre, che legge nel segreto dei nostri cuori, ci darà la ricompensa”
Allora ho recitato il Padre Nostro affidandomi a Lui. E così sto facendo spesso.
Mi consola anche che lo Spirito Santo “intercede per noi con gemiti inesprimibili” chiedendo quello che ci santifica ( Rom, 8 (26-27).