In tante occasioni la vita umana è stata paragonata ad un viaggio: Homo viator, dice sant’Agostino: l’uomo è un viandante. Ma ci sono almeno tre modi di viaggiare.
Uno è quello del turista. “Turismo” viene da tour, che significa “giro”. Il turista “va in giro”, mosso dalla curiosità, e – com’è nella logica del giro – alla fine ritorna al punto di partenza. Quando oggi si parla di “turismo religioso” la cosa mi fa un po’ sorridere (e amaramente), perché mi viene da pensare che per qualcuno la religione sia una specie di turismo: si va di qua e di là, si partecipa a questa o quella iniziativa più o meno spirituale – e poi si torna a casa come se nulla fosse successo: si portano con sé ricordi, souvenir e foto… ma infondo tutto resta come prima.
Un secondo modo è quello del nomade. Al contrario del turista, il nomade si sposta mosso dal bisogno: letteralmente, è uno che va in cerca di pascolo; si ferma quando trova nutrimento e, quando l’ha consumato, va altrove. Dove? Nemmeno lui lo sa: va dove lo portano le circostanze; non ha una meta precisa.
Il terzo modo è quello del pellegrino. Il pellegrino è letteralmente uno straniero in viaggio verso la patria. Non è un turista, perché parte da una terra straniera e va altrove. Non è un nomade, perché sa benissimo qual è la sua meta. Se nella spiritualità cristiana si è sviluppata la pratica del pellegrinaggio, è perché nel “santuario” – cioè nella casa dei santi – o nella Terra Santa, si vede un’immagine di quel santuario non fatto da mani d’uomo di cui parla la Lettera agli Ebrei(9-10), ossia del cielo stesso, della casa di Dio che è la nostra vera patria.
Gesù, facendosi uomo, è diventato anche lui viator, viandante. È apparso in mezzo a noi come straniero e pellegrino, e nel giorno della sua Ascensione il suo pellegrinaggio si conclude. Con la celebrazione di oggi il mistero della Pasqua si salda con il mistero del Natale. Solo chi è uscito dal Padre può fare ritorno al Padre: Cristo. “Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo” (Gv 3, 13).
Ma facendosi uomo e ascendendo al cielo con la nostra umanità, Gesù ci rivela che anche la nostra condizione su questa terra è quella di stranieri e pellegrini verso la patria, verso il santuario del cielo, verso la nostra vera casa, che è la casa del Padre.
Se fossimo lasciati alle nostre forze naturali, nessuno di noi avrebbe la possibilità di entrarvi, nessun uomo potrebbe partecipare alla vita e alla felicità di Dio. Soltanto Cristo ha potuto aprire per noi questa “via nuova e vivente”, “per darci la serena fiducia che dove è lui, Capo e Primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria” (Prefazio dell’AscensioneI). Cristo non è solo il Viandante, egli è la Via!
Per Cristo, con Cristo ed in Cristo, noi camminiamo verso il cielo. Il cammino non è facile, perché per Cristo stesso la porta del cielo è stata la croce. Dobbiamo mantenere “senza vacillare la professione della speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso” (Ebr 10, 23). E ricordiamo cosa ci ha promesso: “Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi” (At 1, 8; cf. Lc 24, 49).
A noi si richiede di non scoraggiarci, di non cadere nelle suggestioni di trasformarci in nomadi che non sanno dove andare o in turisti che pensano di avere una dimora stabile quaggiù. La nostra patria è nel cielo, e di questa patria conosciamo la via.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
Ascensione Anno C 2019