Che immagine potente ci viene incontro nell’Apocalisse di Giovanni (7,9)! Una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua: la salvezza è per tutti: non vi sono preclusioni etniche o culturali. Tutti stavano in piedi: sono i risorti! Davanti al trono – la sede di Dio – e all’Agnello – Gesù Cristo –, avvolti in vesti candide – segno di redenzione –, e tenevano rami di palma nelle loro mani – segno di vittoria.
È un’immagine fatta per darci speranza: di quella moltitudine immensa dobbiamo far parte anche noi! Siamo chiamati alla redenzione, alla vittoria, alla risurrezione! Ma il percorso per giungervi non è fatto di rose e fiori. C’è una grande tribolazione da attraversare. La redenzione si ottiene nel sangue dell’Agnello, al prezzo della sua passione. Può risorgere solo chi muore con lui. Bisogna accettare che l’Agnello sia il nostro pastore, ma questo è paradossale perché l’agnello appare come il più piccolo, il più fragile, il più debole del gregge e spontaneamente noi non ci fidiamo di lui. Come può condurci alla vita uno che va a morire sulla croce?!
Qui si dividono gli animi. Certo, la salvezza è per tutti, nel senso che tutti sono chiamati; ma pochi sono gli eletti, cioè coloro che accolgono la salvezza. Perché viene facile preferire una vita terrena comoda qui ed ora, anziché affrontare la grande tribolazione nell’attesa di una vita eterna che adesso non si vede.
Non si vede, ma c’è! Gesù è risorto ed è qui in mezzo a noi. Non lo vediamo, ma udiamo la sua parola. Se l’accogliamo, siamo parte del suo gregge: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono (Gv 10,27).
La promessa che il Signore fa è immensa: Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno. Ma cos’è mai questo “in eterno” di cui Gesù parla? Cos’è l’eternità? Due parole: sempre-mai. Sempre inizio, mai fine. Significa essere sottratti alla consumazione del tempo, all’invecchiamento, alla morte: mai più la morte! Noi non riusciamo a immaginarci l’eternità, perché la nostra immagine dello spazio e del tempo ci è di ostacolo. Il poeta Giacomo Leopardi rappresentava questo ostacolo con l’immagine di una siepe che di tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude; ma proviamo a spingere il pensiero oltre e troveremo interminati spazi di là di quella, e sovrumani silenzi e profondissima quiete… ove per poco il cor non si spaura. Dovremmo – come diceva p. Raniero Cantalamessa – per una volta smettere i contare i nostri soldi e metterci a contare le stelle. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare. Proviamo a rimuovere l’ostacolo del tempo che si consuma e pensiamo all’eternità come ad un tempo che non può passare: mille anni, e sei sempre all’inizio; milioni di anni, miliardi di anni, e sei sempre all’inizio, sempre all’inizio: non si è mai consumato nulla! E il naufragar m’è dolce in questo mare, mi è dolce perché sono fatto per questo: Dio ci ha creati per questo!
Possiamo affrontare “la grande tribolazione” perché abbiamo questa grande speranza: la tribolazione passa, la vita eterna resta! Possiamo seguire l’Agnello nostro pastore, perché ci guida alla risurrezione, alle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi.
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