“Tentazione” è un termine molto usato dalla pubblicità di dolci oppure dall’erotismo. Si pensa che a “tentare” sia il piacere e che il piacere sia più forte quando, in qualche modo, è proibito dal dietologo o dalle convenzioni sociali.
Tutto questo ha poco o nulla a che fare con il senso biblico della tentazione. La Bibbia esprime la convinzione che gli uomini che Dio ha creato e che ama – Adamo, Abramo, Mosè, Davide, Giobbe… – sono esposti al rischio di rifiutare Dio, si trovano in circostanze in cui la fedeltà a Dio sembra assurda, e rifiutarlo appare conveniente, utile, persino necessario.
Fin dal suo battesimo, Gesù viene manifestato come il Messia, colui che compie le speranze di Israele. Lo Spirito Santo scende su di lui e la voce del Padre lo proclama come il Figlio prediletto in cui il Padre si è compiaciuto (Lc 3, 21s). Ci aspetteremmo una marcia trionfale verso la realizzazione di tutte le promesse di terra, di abbondanza, di sicurezza… E invece (sorpresa!) la prima disposizione dello Spirito conduce Gesù nel deserto per essere tentato dal diavolo. Prima di compiere le speranze, prima ancora di annunciare il loro compimento, Gesù deve intraprendere una lotta per purificare le attese dai travisamenti che ne falserebbero la realizzazione.
Al fondo di ogni tentazione, infatti, sta una falsa speranza, una speranza che sembra la realizzazione di qualcosa di urgente, di giusto, di “migliore” rispetto a quello che Dio ha stabilito. Il Dio della speranza, quindi, andrebbe piegato ai nostri desideri, altrimenti risulterebbe superfluo o persino fastidioso.
Luca (4, 1-13) sottolinea che, nel deserto, Gesù viene tentato dal “diavolo”. Non a caso l’evangelista sceglie questo nome per designare il tentatore: ho diabolos, in greco, significa “colui che porta la divisione, la separazione” e le sue tentazioni non hanno altro scopo che separare Gesù dal Padre, vogliono portarlo a rifiutare il Padre e il suo volere, per costruirsi una messianicità infedele.
Nel deserto si mette alla prova la speranza, perché si mette alla prova Dio stesso: è lui il bene, oppure dobbiamo inventare noi stessi ciò che è bene?
Qual è il bene per eccellenza? Il pane! Non si dice infatti: “Buono come il pane”? E quale speranza umana è più naturale, più legittima, di quella di avere pane? E allora: “Se sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino pane!”. La tentazione è vecchia: il diavolo aveva già giocato questa carta spingendo gli Israeliti a rimpiangere l’Egitto, in cui erano schiavi, sì, ma mangiavano pane a sazietà! La risposta di Gesù è invece quella dell’israelita fedele: l’uomo non vive soltanto di pane (cf. Dt 8, 3). A questo proposito il gesuita tedesco Alfred Delp, messo a morte dai nazisti, disse: “Il pane è importante, la libertà è più importante, ma la cosa più importante di tutte e la costante fedeltà e l’adorazione mai tradita”. Gesù moltiplicherà i pani (Lc 9, 12-17), ma lo farà per gli altri, non per sé. La sua fame di pane – per quanto naturale e legittima – non ha la precedenza rispetto al suo rapporto con il Padre.
Appena ribadita la relazione del Figlio con il Padre, il diavolo gli propone un’alleanza pervertita: gli promette tutta la ricchezza e il potere dei regni terreni in cambio dell’adorazione. La risposta di Gesù è semplice: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”»; questa breve frase indica che la sua vita è tutta a servizio di Dio, senza alcun obiettivo di potere personale. Sarà attraverso la croce e la risurrezione che Gesù riceverà dal Padre la potenza e la gloria su ogni cosa.
E proprio alla croce fa allusione la terza tentazione. Per attirare Gesù nella sua trappola il diavolo cita la Scrittura, il Sal 91 in cui si parla della protezione che Dio garantisce al suo fedele: “Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani che porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede”. Se Dio è tuo Padre, egli ti preserverà dal fallimento – ma se fallisci, significa che non gli sei Figlio! Sarà questa l’idea che porterà gli spettatori a deridere Gesù crocifisso: “Si è affidato al Signore, lui lo scampi: scenda dalla croce e gli crederemo!” (cf. Lc 23, 35 ss). Ma Dio ha un altro piano, e Gesù lo accetta. Gesù non si è salvato da sé, non per impotenza ma per obbedienza al Padre. La salvezza verrà, ma attraverso la sofferenza e la morte.
La Quaresima ci porta a rivivere personalmente l’esperienza di Gesù nel deserto. Questo è il luogo in cui si ascolta la voce di Dio, ma anche quella del diavolo. La nostra obbedienza a Dio è continuamente minacciata da ciò che sembra più necessario (il pane), più desiderabile (il potere), e da ciò che per l’evangelista Luca costituisce la più grave di tutte le tentazioni: mettere alla prova Dio, sottoporlo a un esperimento: «Il Signore in mezzo a noi sì o no?»” (Es 17, 7); la presunzione di imporre a Dio le nostre condizioni.
Rivivere l’esperienza di Gesù significa fare come lui, che ha accolto con amore il progetto del Padre:
“Non ha messo alla prova Dio. Ma è sceso nell’abisso della morte, nella notte dell’abbandono, nell’essere in balia che è proprio degli inermi. Ha osato questo salto come atto dell’amore di Dio verso gli uomini. E perciò sapeva che, saltando, alla fine avrebbe potuto soltanto cadere nelle mani benevole del padre. Così si palesa il vero senso del Sal 91, il diritto a quell’estrema e illimitata fiducia di cui in esso si parla: chi segue la volontà di Dio sa che in mezzo a tutti gli orrori che può incontrare non perderà mai un’ultima protezione. Sa che il fondamento del mondo è l’amore e che quindi anche laddove nessun uomo può o vuole aiutarlo, egli può andare avanti riponendo la sua fiducia in colui che lo ama” (J. Ratzinger).
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
I domenica T.Q. Anno C