Guidare gli altri, insegnare, correggere… Sono ruoli che da un lato affascinano, perché implicano autorità e prestigio, ma dall’altro spaventano per il carico di responsabilità che comportano.
Mi meraviglia sempre la sicumera con cui alcuni si propongono per esercitare ruoli di governo nella società, nella Chiesa o nei confronti delle anime. Se abbiamo voglia di presentarci per un lavoro del genere, siamo certi di avere un visione adeguata? Perché altrimenti, “come può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una buca?” (Lc 6,39). Se per la tua cecità morale e spirituale commetti un errore che ti fa cadere, porterai da te la responsabilità della tua caduta, ma se oltre alla cecità, nel tuo cuore c’è anche la presunzione di guidare gli altri, porterai anche la responsabilità della caduta loro, oltre alla tua!
Ma attenzione anche all’atteggiamento opposto, quello di chi ha il dovere di guidare gli altri – per legge naturale, come i genitori devono guidare i figli, o per decisione della comunità che ci ha affidato un compito – e per paura di commettere errori, per pusillanimità o per viltà rinuncia a prendere decisioni, asseconda i capricci di coloro che dovrebbe condurre, non si assume responsabilità… se ne lava le mani, come Pilato!
Così sembra che siamo stretti tra Scilla e Cariddi: tra presunzione e pusillanimità. Come se ne viene fuori? Gesù una volta disse: “Non fatevi chiamare ‘guide’, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo” (Mt 23,10). Questa è la chiave di tutto: se ci lasciamo guidare da Cristo, che dona la vista ai ciechi, ci vedremo a sufficienza per guidare noi stessi e coloro che il Signore ci affida!
Analogo discorso vale per l’insegnamento: se abbiamo il compito di educare e preparare gli altri, dobbiamo tener presente che non potremo mai trasmettere loro ciò che noi stessi non abbiamo. “Il discepolo non è da più del suo maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro” (Lc 6,40): se un genitore, un catechista, un prete, un insegnante non ha in sé le virtù che deve trasmettere, come può sperare di rendere virtuosi gli altri? Prima di mettersi ad insegnare, deve farsi egli stesso discepolo, ricordando ciò che dice Gesù: “Uno solo è il vostro Maestro” (Mt 23,8); deve cercare di essere come il suo Maestro, per poter sperare di essere un educatore efficace!
Guidare ed insegnare significa anche correggere. Ma, dice Gesù, per correggere bisogna vederci bene. Noi invece corriamo il rischio di avere nell’occhio la trave del nostro egoismo, dell’odio, della presunzione, di tutti i nostri vizi: come possiamo pretendere di togliere la pagliuzza nell’occhio dell’altro se non vediamo? Eppure abbiamo il dovere di togliere anche quella pagliuzza! Dobbiamo quindi chiedere al Signore di aiutarci a togliere la trave che c’è nel nostro occhio, dobbiamo comprare da lui il “collirio per ungerci gli occhi e recuperare la vista” (Ap 3,18).
Comprendiamo dunque che si tratta di rinnovare noi stessi per essere in grado di trasmettere qualcosa agli altri. Se vogliamo portare frutti buoni (e ne abbiamo il dovere è la responsabilità), dobbiamo essere alberi buoni.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
VIII Domenica T.O. Anno C