Nella Bibbia si trova spesso lo schema delle “due vie”. Da una parte felicità, benedizione, beatitudine; dall’altra rovina, maledizione, guai.
Il Salmo 1 propone una scelta molto semplice: da una parte ci sono i malvagi, descritti come peccatori e arroganti: la loro via va in rovina; dall’altra c’è il giusto: la sua vita è caratterizzata dalla meditazione della legge del Signore, giorno e notte. Mentre egli veglia per il Signore, in realtà è il Signore che veglia su di lui e lo rende vivo, forte, fruttuoso come un albero ben irrigato. L’esistenza dei malvagi invece è vuota e inconsistente, come pula che il vento disperde.
Ciò che fa la differenza è dunque l’ascolto della parola del Signore, la meditazione della sua legge. Dalla meditazione della parola del Signore nasce la fede.
Questa è la motivazione, più profonda, della divisione delle due vie secondo il profeta Geremia (17, 5-8). Fede significa anzitutto “fidarsi” e “affidarsi” a colui nel quale si “confida”. Ed anche qui abbiamo due tipi di persone.
Da un lato chi confida nell’uomo e pone nella carne il suo sostegno. In quale uomo? Negli altri, nei potenti che potrebbero proteggere, nei ricchi che potrebbero beneficare (c’è chi ha dei forti appoggi politici, chi può contare su amici ricchi…), ma anche in se stessi (chi confida nelle sue doti, nella sua forza, nella sua bellezza, nella sua intelligenza…). Quando si confida in queste cose, quando si pone proprio sostegno nella carne inevitabilmente si rimane delusi, non si vede venire il bene, la vita si trasforma in deserto, aridità, la morte. Dice san Paolo: “Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione” (Gal 6, 8). Perché uno non può confidare nella carne senza allontanare il proprio cuore dal Signore. Il fondamento di una casa può essere soltanto uno: o costruisci sulla sabbia o costruisci sulla roccia; non puoi servire a due padroni: o sei di uno o sei di un altro.
Dall’altro lato abbiamo l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. Se la radice è sana, tutta la pianta è sana. Qualche anno fa abitavo in un eremo, e mi capitava spesso di dover abbattere qualche albero; dopo averlo tirato giù, con la motosega tagliavamo il moncone del tronco fino a livellarlo col terreno circostante o addirittura ad interrarlo, cosicché non emergesse più nulla. Eppure, dopo un annetto, da quel tronco raso al suolo, spuntavano rigogliosi polloni: quando la radice è sana, la pianta vive! Puoi tagliarla, puoi persino bruciarla… Se la terra ha protetto la radice e la radice è sana, la pianta vive!
Per Geremia, ciò che fa la differenza è dunque la fede. Nel Vangelo di Luca (6, 20-26) facciamo ancora un passo avanti. Vi sono due schiere di persone. Alle prime Gesù dice: Beati voi! Agli altri dice: Guai a voi!
A chi Gesù dice Beati voi? Ai poveri, a gente che ha fame, a uomini che piangono, a persone odiate, messe al bando, insultate e disprezzate. Ora vi prego di fare molta attenzione, perché su questo punto le idee sbagliate sono talmente diffuse che non si riesce mai a farsi capire. Non c’è nessun titolo di merito ad essere poveri, o affamati o afflitti o disprezzati! Queste persone non sono “beate” perché sono più brave delle altre e si sono guadagnate una posizione migliore.
La differenza con l’AT è tutta qui. Nel Salmo, è beato chi medita la legge del Signore giorno e notte: questo è un titolo di merito! In Geremia è beato chi confida nel Signore: questoè un titolo di merito! Nel Vangelo è beato chi ha fame, chi piange: che merito c’è? Nessuno!
Forse – come sentiamo dire tanto spesso – sono beati i poveri perché sono più disponibili, più ricettivi, più umili…? No! Questo non è vero (e chi ha fatto un po’ di lavoro pastorale con i poveri veri lo sa bene), e poi, se Gesù avesse voluto dire che sono beati i disponibili, i ricettivi e gli umili l’avrebbe detto chiaramente: le parole non gli mancavano.
Se Gesù dice che sono beati i poveri, gli affamati, gli afflitti e i perseguitati non è perché queste persone sono buone, ma perché è buono Dio. Beati quelli che soffrono (povertà, fame, afflizione, persecuzione), perché Dio ha compassione di loro, si china su di loro, se ne prende cura, li fa primi cittadini del suo regno, dove saranno saziati e rideranno. Allora non “beati i poveri, perché sono buoni e si prendono cura di Dio”, ma “beati i poveri, perché Dio è buono e si prende cura di loro”!
E allora come mai dice guai ai ricchi, ai sazi, a quelli che ridono, a gli uomini di successo? Forse che Dio non è buono con loro? Forse non se ne prende cura? Certo che è buono con loro e se ne prende cura! Ma al povero Dio non può chiedere altro che la fede, e, se crede, il povero si salva. Invece al ricco, oltre la fede, Dio chiede di essere come lui: di assistere i poveri con le proprie ricchezze, di dare da mangiare a chi ha fame, di consolare gli afflitti, di adoperare la propria buona fama per alleviare le sofferenze dei diseredati. C’era un giovane ricco che manifestava la sua fede, Gesù lo amò e poi gli chiese proprio questo: “Va, vendi quello che hai, dallo a i poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (cf. Mt 19, 16-22) cioè, fa’ quello che faccio io. E sapete come andò la storia: se ne andò triste (non beato!) perché aveva molte ricchezze!
Ed ora, amici, veniamo a noi. Chi siamo noi? Sta a noi deciderlo! Forse sentiamo il peso della nostra sofferenza presente: siamo invitati a renderci conto che c’è una speranza, che Dio vuole ristabilire la giustizia. L’annuncio del Regno di Dio ci impegna a non disperare e, al tempo stesso, a non pretendere di assicurarci da soli il nostro avvenire. Dio instaurerà la sua giustizia in modo definitivo ed eterno quando il Signore tornerà nella gloria; ma già fin d’ora noi siamo chiamati a realizzarne le esigenze condividendo i nostri beni e pregustando la beatitudine.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
VI Domenica T.O. Anno C