Nel nostro cuore c’è, istintivamente, il desiderio di cose grandi, di bellezza grande, di gioia grande. Tutto questo è naturale ed è bene, perché siamo fatti per l’infinito.
Però la mentalità del mondo ci porta a pensare che per fare grandi cose bisogna essere grandi. Potremmo sorridere di tanta ingenuità, se non fosse che questa mentalità ci porta a commettere un mucchio di errori, spesso anche tragici. Ci porta infatti a sottovalutare i piccoli e ad abbatterci davanti ai grandi; ci porta a disprezzare i piccoli e ad adulare i grandi. Ci porta quindi alla disperazione, perché desideriamo ciò che è grande, ma ci vediamo troppo piccoli ottenerlo.
Ebbene, la Parola di Dio viene a darci speranza perché ci chiama a correggere questa mentalità “megalomane”. Il profeta Michea (5, 1-4) si rivolge ad un villaggio insignificante della Palestina:
E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda…
I Giudei si aspettavano la salvezza da Gerusalemme, dalla capitale, città forte, munita di torri e di mura. Betlemme, sì, era la città da cui proveniva Davide, quando era un pastorello… Poi Davide era diventato re, lui e i suoi discendenti avevano costruito la grande capitale. Ma ora la dinastia di Davide è in rovina: non c’è più pace, Israele è sottomesso a un dominio straniero… Ogni grandezza sembra irrimediabilmente perduta.
Ed è proprio qui che irrompe la profezia: bisogna tornare a ciò che è piccolo! Dal piccolo villaggio di Betlemme, Dio trarrà il nuovo pastore del suo popolo:
Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace!
Cose grandi, dunque, perché Dio è grande! Maestà, certo; ma una grandezza, una maestà che si rivela come pace e si realizza “quando colei che deve partorire partorirà”, grazie alla piccolezza di un bambino.
Tutto ciò si realizza in Maria. Una ragazza che appariva insignificante ai propri occhi e agli occhi dei suoi compaesani (cf. Mt 13, 55). Nella sua piccolezza, riceve l’annuncio «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1, 30-33).
È un annuncio di grandezza, ma Maria è consapevole che la grandezza è di Dio, mentre lei rimane nella condizione di piccola serva del Signore. E come piccola serva si mette in viaggio verso la montagna. L’angelo le aveva rivelato la miracolosa maternità di Elisabetta, anziana e sterile. E lei corre a visitarla, “perché – dice sant’Ambrogio – era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia”.
Oggettivamente, Maria è di gran lunga superiore ad Elisabetta; ovviamente Cristo è infinitamente superiore a Giovanni, eppure – continua Ambrogio – “chi è superiore viene da chi è inferiore, affinché l’inferiore sia aiutato: Maria da Elisabetta, Cristo da Giovanni”.
Ciò che accade in quell’incontro, in apparenza banale, è un’esplosione di grazia, di esultanza, di benedizione, di profezia: tutti i protagonisti sono pieni di Spirito Santo. Dio fa cose grandi con i piccoli e – dobbiamo aggiungere – solo attraverso i piccoli.
A noi, dunque, non è certo richiesto di rinunciare al desiderio di cose grandi, di bellezza grande, di gioia grande. Ma dobbiamo capire che solo Dio è grande, solo da Dio viene la bellezza e la gioia grande. E più siamo piccoli – cioè umili, come Maria – più Dio opera grandi cose in noi.
In altri termini, ci viene chiesto di entrare nella beatitudine di Maria:
Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
IV Domenica T.A. Anno C
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