L’antifona d’ingresso della Messa di questa terza domenica d’Avvento si apre con queste parole di san Paolo ai Filippesi (4, 4), che ritroviamo nella seconda lettura:
Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto, rallegratevi.
Sono espressioni che riecheggiano l’annuncio profetico di Sofonia 3, 14 s:
Rallègrati, figlia di Sion,
grida di gioia, Israele,
esulta e acclama con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme!
Questi verbi all’imperativo, se ci riflettiamo, sembrano un po’ strani… Pare come se il Signore ci comandasse di essere gioiosi… Magari lo fossimo – potremmo rispondere noi! Ma se uno è nella tristezza, nell’angoscia… come puoi pretendere che se ne cavi fuori da sé e che addirittura si metta ad esultare?
Evidentemente qui non siamo di fronte a dei comandamenti. Se lo fossero creerebbero angoscia e non letizia: uno già sta male di suo e poi dovrebbe anche sentirsi in colpa perché non gioisce!
Si innescherebbe poi anche una pericolosa ipocrisia. Paolo dice:
La vostra amabilità sia nota a tutti.
E così potremmo cadere nella tentazione di mostrarci “amabili”, cioè lieti e benevoli all’esterno, senza però esserlo nel cuore, giacché – come si dice – “al cuor non si comanda”. La “finzione della gioia” è una cosa veramente… triste!
È chiaro che la Parola di Dio non ci invita all’ipocrisia. Le parole di Paolo – come quelle di Sofonia – sono un’esortazione a trovare nella nostra vita i motivi per rallegrarci. Ed il motivo è chiaro:
Il Signore è vicino!
L’Avvento è il tempo della gioia perché ci mostra che possiamo trovare Dio, giacché è Dio stesso che, in Cristo Gesù, viene a cercarci.
Le parole del profeta Sofonia si sono realizzate pienamente quando il Figlio di Dio si è fatto uomo:
Il Signore, tuo Dio, è in mezzo a te,
Gesù è davvero l’Emmanuele, il Dio con noi, Dio in mezzo a noi! Egli
è un salvatore potente.
Da cosa ci salva? Dall’angoscia, dalla disperazione, dal fallimento delle nostre vite. Dio ci aveva creati per la felicità e ci aveva indicato la strada per raggiungerla; ma noi abbiamo preferito fare di testa nostra. E abbiamo fallito. Guardiamoci intorno e vedremo, nel mondo che ci circonda, i segni chiari di questo fallimento. E questo fallimento ha un nome proprio: si chiama “peccato”.
Dio avrebbe potuto abbandonarci alla nostra disperazione, al nostro inferno: ce lo saremmo meritati. E invece è venuto in nostro soccorso: ha mandato il suo Figlio a salvarci. Possiamo presentare a lui le nostre necessità, perché egli ha cura di noi. Così il cuore e la mente saranno custoditi dalla pace di Dio.
Tutto sta ad accogliere questa salvezza, ad accogliere il Signore che viene. Egli viene per tutti, ci ha detto il Vangelo. Nessuna categoria di persone è esclusa dalla salvezza: persino i più grandi peccatori, i pubblicani, i soldati, vanno da Giovanni Battista e si preparano ad accogliere Gesù.
Ricevono un insegnamento semplice:
Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto… Non esigete nulla più di quanto vi è stato fissato… Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno.
Qui sì che siamo posti davanti a dei comandamenti! Ma sono comandamenti semplici: condividere i beni elementari (il cibo e il vestito), conservare per sé solo il necessario – in altri termini: rendere concreto l’amore per il prossimo; essere onesti nell’esercizio del proprio lavoro, non abusare del potere.
Se anche noi mettiamo concretamente in pratica questo insegnamento, se ci apriamo con fiducia alla salvezza che viene da Dio, il Signore verrà anche nella nostra vita e ce ne accorgeremo dai frutti di amore e di gioia che sbocceranno in noi.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
III Domenica Tempo di Avvento Anno C