Alla commercializzazione del Natale eravamo abituati. Al punto che evitavamo di parlarne per non cadere nella banalità dei luoghi comuni. Ora dobbiamo fare i conti anche con la commercializzazione dell’Avvento. Non c’è limite al peggio (tanto per usare un altro luogo comune)!
In alcune regioni del nord una volta si usava il calendario d’Avvento: era un supporto di legno o di cartone, sul quale erano indicati i giorni dalla prima domenica d’avvento fino al Natale. Ogni giorno era coperto da una finestrella, che veniva aperta durante la preghiera della sera. Dietro la finestrella c’erano scritti un fioretto da compiere il giorno successivo e una preghiera da recitare, accompagnati da un dolcetto. Era un modo per insegnare ai bambini quello che la liturgia chiede nell’orazione di Colletta:
“O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli di chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli”.
Ultimamente sono riusciti a banalizzare anche questo: hanno messo in commercio “calendari dell’Avvento” che non hanno più – ovviamente – né fioretti né preghiere: contengono solo dolcetti che invitano ad attendere… Babbo Natale!
Se almeno noi comprendessimo che si tratta di andare incontro al Cristo che viene! Badiamo bene: non si tratta semplicemente di ricordare che Cristo è venuto duemila anni fa. Si tratta di attendere che venga di nuovo: la nostra speranza non è che si ripeta il passato; è che venga il futuro! Noi aspettiamo il Signore che verrà nuovamente “nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine”.
È a questa seconda venuta del Signore che si riferisce san Paolo quando parla della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi (1 Ts 3, 13).
Il profeta Geremia (33, 14-16) presenta questa venuta come l’adempimento delle promesse che il Signore ha fatto al suo popolo sin dall’antichità. Un tempo di gioia, quindi, di giustizia, di salvezza e di pace: In quei giorni Giuda (cioè il popolo di Dio) sarà salvato e Gerusalemme (la capitale del regno) sarà tranquilla.
Nel Vangelo di Luca (21,25-28.34-36), al contrario, abbiamo una descrizione angosciosa, di un tempo di sciagure e di cataclismi: angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei suoi flutti, mentre gli uomini morranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Forse è quest’ultima l’immagine che più spontaneamente ci rappresentiamo quando sentiamo parlare della “fine dei tempi”, della “fine del mondo”.
Eppure Gesù aggiunge per i suoi discepoli una frase che ci lascia interdetti:
Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
Abbiamo dunque due tipi di reazione di fronte alla seconda venuta del Signore: da una parte c’è chi muore per la paura, dall’altra chi, finalmente, rialza la testa, perché la liberazione è vicina.
E noi da che parte stiamo? Proviamo a chiedercelo ora: se sapessimo che il Signore verrà oggi stesso, come reagiremmo?
Per chi crede, spera e ama come Gesù ci ha insegnato, la sua venuta è tempo di liberazione e di gioia. Se invece abbiamo timore e angoscia è perché, come dice Gesù, il nostro cuore si appesantisce in dissipazioni (perdiamo il nostro tempo, anziché utilizzarlo per farci santi), ubriachezze (teniamo la nostra mente intontita con tante sciocchezze, anziché cercare il Signore), affanni della vita (ci preoccupiamo del denaro, del successo, del potere… e non ci rendiamo conto di perdere la salvezza eterna).
Ecco dunque il senso di questo Avvento che cominciamo oggi: prepararci a incontrare il Signore, disporre i nostri cuori perché quando verrà ci trovi pronti; secondo le parole di san Paolo:
Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti… per rendere saldi e irreprensibili i nostri cuori nella santità davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore con tutti i suoi santi.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
I domenica Tempo di Avvento Anno C