Persino in tempo di regimi costituzionali e di repubbliche, l’idea del “re” appare suggestiva. Certi psicanalisti ne parlano come di un “archetipo”. Pensiamo alle favole, ai miti, ai drammi teatrali: quanti di essi sono centrati sulla figura di un re! Pensiamo banalmente ai giochi: gli scacchi, le carte… il re è sempre un personaggio principale. Credo che ogni bambino abbia sognato qualche volta di essere un re, e se le bambine sono tanto affascinate dall’idea di essere principesse è perché sognano di essere figlie di re o spose di re e quindi regine a loro volta. “Il re è l’uomo ideale, ideale di ogni uomo. Libero e potente vuole ciò che gli piace e fa (fare) ciò che vuole: rappresenta Dio in terra. La concezione che abbiamo del re corrisponde a quella che abbiamo di Dio: è l’uomo realizzato a sua immagine e somiglianza” (S. Fausti).
Già. Ma tutti gli ideali umani presentano una radicale ambiguità. Il re può essere giusto e saggio, ma può essere anche un tiranno crudele – e questo condiziona il modo in cui ci rappresentiamo Dio e, d’altra parte, dipende dal modo in cui ci rappresentiamo Dio.
Gv 18, 33-39 ci presenta lo scontro tra due regalità. Da una parte Pilato, descritto dagli storici come uomo autoritario e crudele, eppure fragile e succube dei ricatti umani; è il rappresentante della regalità dell’imperatore romano, il cui potere si fonda sulla spada, sugli eserciti e sugli inganni della politica: un regno “di questo mondo”. Dall’altra parte Gesù, “mite ed umile di cuore” (cf. Mt 11, 28-30), umiliato, maltrattato, silenzioso, legato “come un agnello condotto al macello” (Is 53, 7).
“Tu sei il re dei Giudei?”
Quanta ironia in questa domanda – che è piuttosto un’esclamazione sarcastica da parte di Pilato: tu, in queste condizioni, così ridotto… hai forse il coraggio di dire che sei il re dei Giudei?!
“Il mio regno non è di questo mondo”
Nel cap. 7 del libro di Daniele è descritta una visione drammatica: vi sono quattro bestie terribili che salgono dal mare – che, nella Bibbia, è spesso il simbolo delle forze avverse all’uomo. Le bestie rappresentano altrettanti re che devastano la terra e distruggono i popoli: sono i regni di questo mondo. Il loro potere è fragile, perché l’una distrugge l’altra, eppure nulla sembra poter opporsi alla devastazione. Ma a questo punto il profeta ha una visione opposta: quella della regalità di Dio, che gli appare come un candido vegliardo assiso sul trono e servito dal schiere innumerevoli di angeli.
“Ed ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo”.
Le bestie vengono dal mare, lui viene dal cielo, ossia da Dio.
“Gli furono dati potere, gloria e regno… Il suo regno è un potere eterno, che non finirà mai e il suo regno non sarà mai distrutto”.
I regni di questo mondo, fondati sulla violenza e sulla crudeltà, sono sempre effimeri: ad un tiranno ne succede un altro e così via. Il regno del Figlio dell’Uomo è eterno, non può essere distrutto:
“Il mio regno non è di questo mondo!”
Se fosse un regno di questo mondo, Gesù avrebbe opposto violenza a violenza: i suoi avrebbero combattuto, il Padre gli avrebbe dato più di dodici legioni di angeli per sbaragliare i suoi avversari; ma “tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno” (Mt 26, 52-53).
Il regno di Cristo non si istaura con la forza della violenza, ma con quella della mitezza; non attraverso l’annientamento dell’avversario, ma attraverso il sacrificio di sé; non con le armi dell’odio e della distruzione, ma con quelle dell’amore fino alla fine, dell’amore per il nemico.
Guardiamo la storia della Chiesa. Ogni volta che ha ceduto alla tentazione di adeguarsi ai regni di questo mondo (dall’epoca costantiniana, attraverso il Sacro Romano Impero e le crociate e il potere temporale dei papi e l’alleanza tra il trono e l’altare…) la Chiesa ha perso credibilità e ne paga ancora lo scotto. Ogni volta che invece ha accettato la logica dell’amore ha subito il martirio, in unione a Cristo crocifisso, ed il sangue dei martiri è diventato seme di nuovi cristiani.
Dobbiamo dunque rinunciare all’archetipo del re? Niente affatto: dobbiamo invece rivoluzionarlo, secondo la verità, che è Dio:
“Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”.
Se fondiamo la nostra vita e la vita delle nostre comunità sull’amore mite e umile di Gesù, sulla sua croce, disposti a perdere noi stessi per rendere testimonianza alla verità, la nostra regalità sarà la sua “e il suo regno non avrà fine”.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
Solennità di Cristo Re dell’universo. Anno B