“Soffrire” è una parola piuttosto vaga… C’è sofferenza e sofferenza! Non parlo – ovviamente – solo del piano dell’intensità, ma soprattutto di quello della qualità. In modo particolare c’è una sofferenza più terribile di tutte, ed è quella che si verifica quando non riusciamo a dare un senso al dolore che viviamo. Allora la sofferenza diventa “smarrimento”.
Questa è la situazione descritta da Gesù in Mc 13, 24-25:
Il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Ciò non va inteso solo nel senso fisico: è nel cuore degli uomini che si può spegnere ogni luce di sole o di luna, è nella mente degli uomini che possono venir meno, come stelle cadenti, tutti punti di riferimento, cosicché diventa impossibile orientarsi.
Il fatto è che – come dice il poeta – siamo chiusi “tra cose mortali (anche il cielo stellato finirà)”. Il destino dell’universo è di finire. E la sorte del mondo è di finire male, perché rifiuta Dio[*]. Attenti però, perché non è una sorte che si realizzerà soltanto al termine della storia: guerre, terremoti, carestie, desolazione, caratterizzano ogni tempo, ogni generazione; malattia, dolore, morte segnano la vita di ogni essere umano!
Ma Gesù ci dice che quanto vi è di negativo nell’universo scomparirà per sempre: quando la sofferenza e la distruzione giungerà al culmine, proprio allora apparirà la salvezza di Dio.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria (Mc 13, 26).
Questo significa che l’ultima parola sul destino del mondo non spetta al male. Le lotte, le difficoltà, le sofferenze, non sono altro che “doglie del parto” (Rm 8, 22) che preparano la nuova creazione. Il Figlio dell’Uomo convocherà i suoi eletti da tutta la terra, li riunirà perché stiano sempre con lui.
Già questo insegnamento è tale da togliere lo smarrimento, è in grado di riorientare la nostra vita: le sofferenze e le lotte che dobbiamo affrontare hanno un senso! C’è una speranza! C’è un bene più grande che ci aspetta!
Sì, però… questo bene sembra tanto lontano! Alla fine dei tempi…! No. Gesù lo dice con tutta la sua autorità:
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga (Mc 13, 30).
Cosa significa? Qual è “questa generazione” di cui parla il Signore? È anzitutto la generazione dei suoi contemporanei. Essi saranno testimoni della sua morte sulla croce (quando si farà buio su tutta la terra – cf. Mc 15, 33) e della sua risurrezione che è l’inizio del mondo nuovo. E, da allora in poi, ogni generazione – anche la nostra generazione – è chiamata a sperimentare la potenza della Pasqua: a ricevere il miracolo della vita nuova che nasce proprio laddove la morte sembra trionfare.
Non è forse paradossale che, a novembre inoltrato, quando gli alberi hanno perso le foglie e sembrano ridotti a legni secchi, nella liturgia delle Parola ci viene incontro un’immagine primaverile?
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina (Mc 13, 28).
L’ora della croce, per ogni generazione, è la spoliazione invernale in cui tutto sembra finito, ed invece è proprio lì che spunta la vita nuova! Gesù ci insegna a guardare “queste cose” – cioè le sofferenze quotidiane e gli sconvolgimenti del mondo – come segni della sua venuta, come il modo attraverso il quale egli “è vicino, alle porte”.
Sì, tutto ciò accade in “questa generazione”: è avvenuto per quelli che hanno assistito alla sua morte e risurrezione ed avviene per noi che celebriamo la sua Pasqua ogni domenica nell’Eucaristia. Avviene nella vita e nella morte di chiunque incontra Gesù e lo segue. Come suoi discepoli, ci basta sapere questo, ci basta essere sicuri della parola del nostro Signore che ci è sempre vicino e ci garantisce la sua fedeltà:
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno (Mc 13, 31).
[*]Per queste riflessioni traggo spunto da T. Beck – U. Benedetti – G. Brambillasca – F. Clerici – S. Fausti,Una comunità legge il vangelo di Marco, Bologna 1999.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
XXXIII Domenica T.O. Anno B