“… domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie” (Mc 10, 2).
Domanda inattuale! Oggi non fa problema il ripudio, ma il matrimonio. Per gli sposati, la legge degli uomini non solo predispone la possibilità del divorzio, ma ne affretta sempre più i tempi e le modalità. Per i non sposati, alle convivenze e alle unioni di fatto sono date talmente tante tutele giuridiche da rendere praticamente non solo inutile ma perfino sconveniente il matrimonio. Matrimonio, però, che viene rivendicato come diritto da persone dello stesso sesso, il che rende il termine privo di significato.
Così, davvero vogliamo parlare del matrimonio e addirittura della sua indissolubilità – come fa Gesù? Non è meglio parlare di altro? Risponde papa Francesco:
“Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire. Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro” (Amoris laetitia, n. 35).
Dunque il matrimonio è anzitutto una grazia che Dio offre alle persone. Comprendiamo che la domanda posta dai farisei a Gesù è sbagliata perché manca del presupposto: non ha senso chiedersi se sia lecito o illecito vanificare il matrimonio se non si è capito che grazia è il matrimonio!
Non a caso, rispondendo ai farisei, Gesù si riferisce alla creazione. Nel linguaggio poetico che gli è proprio, il libro della Genesi (2, 18-24) si richiama alla tenerezza provvidente di Dio verso l’uomo creato a sua immagine:
“Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”.
Dio è amore e l’uomo è creato ad immagine dell’amore. L’amore implica relazione, corrispondenza, comunione, incontro delle differenze, collaborazione nella complementarità: questo genera vita e richiede stabilità.
“Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne”.
Le parole di Gesù, così chiare nel rifiutare la separazione: “L’uomo non divida ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10, 9), non devono essere vanificate dalla “durezza del nostro cuore”. Esse – dice papa Francesco – non devono essere intese anzitutto “come un «giogo» imposto agli uomini, bensì dome un «dono» fatto alle persone unite in matrimonio” (Amoris laetitia, n. 62).
Diamo anzitutto un nome a questa durezza del nostro cuore, che ci impedisce di accogliere il dono, perché il nome c’è ed è estremamente chiaro: si chiama “egoismo”. La ricerca del proprio tornaconto, della propria soddisfazione, del proprio utile è il cancro che mina alla base ogni relazione umana, a partire da quella relazione letteralmente fondamentale che è il matrimonio da cui nasce la famiglia e quindi la società. Dice ancora papa Francesco:
“Nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società. Accade il contrario: pregiudica la maturazione della persone, la cura dei valori comunitari e lo sviluppo etico delle società e dei villaggi. Non si avverte più con chiarezza che solo l’unione esclusiva e indissolubile tra un uomo e una donna svolge una funzione sociale piena, essendo un impegno stabile e rendendo possibile la fecondità” (Amoris laetitia, n. 52).
Ma noi sappiamo quanto l’egoismo sia radicato nel nostro cuore, e Dio lo sa certamente meglio di noi stessi! Per questo,
“la condiscendenza divina accompagna sempre il cammino umano, guarisce e trasforma il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce” (Amoris laetita, n. 62).
In ultima analisi, accogliere la grazia del matrimonio è accogliere il Regno di Dio che viene nella vita degli sposi. Esso viene nella logica dell’Incarnazione e della Pasqua. È un amore che si fa carne in Gesù e si innesta nella carne dell’uomo e della donna rendendoli una carne sola. Ed è un amore che si rivela pienamente nella croce, come capacità di rinunciare a se stessi, di perdere la propria vita per l’altro, ritrovandola pienamente nella risurrezione.
Che cosa bisogna fare, dunque? In una parola: bisogna accogliere il regno di Dio “come l’accoglie un bambino”: senza i tanti “se” e i tanti “ma” che il nostro cuore duro gli oppone, senza stare a misurare i propri meriti e i propri interessi. La grazia è un dono che ti viene fatto, va invocato con fiducia dal Padre e ricevuto da lui con gratitudine.
Con questo non si intende certamente negare che la parola di Gesù sul matrimonio e sulla famiglia sia “segno di contraddizione”. Da essa però riceviamo le “motivazioni per una coraggiosa scommessa su un amore forte, solido, duraturo”, e le famiglie possono scoprire “la via migliore per superare le difficoltà che incontrano sul loro cammino” (Amoris laetitia, n. 200).
“Il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piene nella reciprocità, nella comunione e nella fecondità”. (Amoris laetitia, n. 201).
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
XVII domenica T.O. Anno B