Mosè e Gesù
Sia il libro del Levitico (13, 1-2. 45-46) sia il vangelo di Marco (1, 40-45) ci parlano di lebbrosi, ma con grande contrasto.
Nel primo testo vediamo come si comportava la legge di Mosè davanti a uno sventurato colpito dalla lebbra. Sono prescrizioni che spaventano: l’infelice deve allontanarsi dalla società, vivere fuori dall’accampamento; deve portare vesti strappate, avere i capelli disciolti e gridare: Impuro! Impuro!, perché nessuno si accosti a lui. La società si difende dal lebbroso, anziché aiutare il lebbroso.
Al tempo di Gesù la segregazione era regolata in modo tale che i lebbrosi non potevano mettere piede in Gerusalemme e nelle città che fin dai tempi più remoti erano circondate da mura. Potevano fermarsi nelle altre località, ma dovevano vivere per conto proprio. L’incontro con un lebbroso rendeva impuri.
La legge di Mosè era spietata? Si può dire che era ispirata dalla preoccupazione della santità di Dio e del suo popolo; nulla di impuro e di corrotto deve contaminare questa santità; tutto quello che ha attinenza con la morte deve essere tenuto lontano dal Dio della vita. E la lebbra è il simbolo della corruzione, dell’impurità: è il principio della corruzione e della morte. D’altra parte, la teologia rabbinica considerava la lebbra una punizione di Dio per i peccati commessi e, di conseguenza, vedeva nel lebbroso un peccatore.
Nel vangelo vediamo come si comporta Gesù davanti al lebbroso. Gesù si commuove, stende la mano, lo tocca e lo guarisce. E questo in un tempo in cui si credeva che toccare un lebbroso significava contagiarsi, diventare immondo ed escludersi anche dal culto di Dio. Ma il tocco di Gesù guarisce.
Potremmo concludere la nostra riflessione limitandoci ad osservare che Gesù, con grande potenza e con tanto amore salva questo povero lebbroso. Ma servirebbe a poco, se non considerassimo che vi sono lebbrosi anche nel nostro tempo e che, anzi, i primi lebbrosi siamo noi stessi!
Gesù e Francesco
San Francesco scrive, nel suo Testamento:
“Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo” (FF 110).
Francesco, quando – com’egli stesso scrive – era nei peccati, non era meno misero dei lebbrosi di cui aveva orrore. Condotto dal Signore in mezzo ad essi, non ci viene detto che i lebbrosi guarirono, ma che guarì il suo cuore: usò con essi misericordia e ciò che gli sembrava amaro gli fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo.
Francesco comincia a guarire dalla lebbra del suo peccato quando è condotto dal Signore sulla via della misericordia, quando comincia ad avere verso i miseri gli stessi sentimenti di Gesù; quando cessa di fuggirne la vista, quando accoglie dentro di sé l’amarezza che gli causano.
E noi?
Ci sono, intorno a noi, persone la cui vista ci appare “cosa troppo amara”? Persone che la nostra società nasconde, che il nostro subcosciente rimuove, come faceva la legge di Mosè, un po’ per paura del contagio, un po’ per non doversene far carico?
Anziani e disabili, malati, soprattutto malati di mente, alcolizzati, drogati… C’è tutta un’umanità che abbiamo relegato ai margini, perché ci sembra cosa troppo amara vederli. Noi forse ne abbiamo paura, perché i miseri ci ricordano la sofferenza e la morte. E spesso mascheriamo la nostra paura con il moralismo, giudicandoli peccatori.
Non che questo sia sempre sbagliato: ogni miseria, ogni sofferenza è, in modo spesso imperscrutabile, una conseguenza del peccato che c’è nel mondo. Ma Gesù guarisce la lebbra, cioè rimette i peccati e risana l’uomo. Prende su di sé tutte le nostre sofferenze. Salva, talvolta, anche dal male fisico e dalla morte, ma perché sappiamo che egli è in grado di salvarci da quel male più profondo e più radicale di tutti che è il peccato.
E ricordiamoci che il peccato più grande è quello di non aver misericordia; la lebbra più grave è quella di un cuore che non si commuove della sofferenza altrui. Anche da questo – anzi, leggendo la testimonianza di san Francesco dobbiamo dire: soprattutto da questo – il Signore ci guarisce.
Il Signore ci guarisce
Ma c’è una parte essenziale di questa pagina del Vangelo che è rimasta finora fuori dalla nostra attenzione. Quel lebbroso andò da Gesù, gli si getto in ginocchio dinanzi, gli gridò: Se vuoi, puoi guarirmi!
C’erano, forse, tanti altri lebbrosi nascosti nei dintorni; ma si vergognano di mostrarsi. Quest’uomo, invece, vince la vergogna e la paura: viene riconosciuto da tutti come immondo e peccatore, ma confessa pubblicamente di essere tale, chiede la salvezza a Gesù.
Il Vangelo di oggi ci chiede di riconoscerci peccatori, confessare i nostri peccati, soprattutto il peccato più grave che è quello di non avere un cuore misericordioso, e di chiedere a Gesù di guarirci e purificarci.
E allora faremo anche noi l’esperienza scioccante fatta dal giovane Francesco quando era ancora nei peccati: il Signore ci condurrà proprio verso ciò che ci appare troppo amaro, proprio verso chi ha una miseria diversa dalla nostra e per noi più ripugnante, ma grazie alla misericordia tutto questo ci si cambierà in dolcezza e cominceremo sul serio a convertirci.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
VI Domenica T.O. Anno B
Vedere chi ha bisogno e cercare di vincere la ripugnanza di stare accanto a chi ci sembra “strano”, malato contagioso, non è cosa facile che il Signore ci aiuti a riconoscerci tutti fratelli bisognosi di Lui.