Un teologo, in un libro pubblicato alcuni decenni fa’, esordiva con questa domanda: “Il Dio dei cristiani è un Dio cristiano?”. E proseguiva:
“Questa domanda, in apparenza paradossale, nasce spontanea se si considera il modo in cui molti cristiani si raffigurano il loro Dio. Nel discorso essi parlano di Lui riferendosi ad una vaga «persona» divina, più o meno identificata con il Gesù dei Vangeli o con un essere celeste non meglio precisato. Nella preghiera essi parlano con questo Dio piuttosto indefinito, mentre sentono estranea, per non dire astrusa, la maniera in cui la liturgia fa pregare il Padre per Cristo, nello Spirito Santo: si prega Dio, ma non si sa pregare in Dio!” (B. Forte).
Un altro teologo arrivava a dire:
“Se si dovesse sopprimere, come falsa, la dottrina della Trinità, pur dopo un tale intervento gran parte della letteratura religiosa potrebbe rimanere quasi inalterata…” (K. Rahner).
Ma una fede, una preghiera, una visione della Chiesa che non è trinitaria, può dirsi cristiana? Evidentemente no!
È necessario allora che noi rivediamo questi punti, perché questa festa della Trinità del 2016 segni una svolta nel nostro modo di comprendere la fede, di pregare e di vivere la Chiesa.
Ad esempio, se qualcuno venisse a chiederci sul serio: “Chi è il vostro Dio?”, cosa risponderemmo?
Una possibile risposta è quella del Catechismo di s. Pio X: “Dio è l’essere perfettissimo creatore e signore del cielo e della terra”. Ma questa risposta, per quanto corretta, non è ancora quella cristiana. È una risposta che va bene anche per gli Ebrei, per i Musulmani, per qualunque monoteista.
La risposta cristiana è molto più bella. Se noi ponessimo la domanda: “Chi è Dio?” agli Apostoli, risponderebbero: “Dio è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo!”.
Cosa significa, che Gesù non è Dio? Al contrario! Significa che tutto ciò che noi sappiamo nei confronti di Dio, lo sappiamo attraverso Gesù.
Al battesimo nel Giordano, il Padre si rivolge a Gesù dandogli del “tu”: Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto (Mc 1, 11). La comunicazione del Padre avviene attraverso “il suo Figlio prediletto”, il “Figlio modello” nel quale capiremo qualcosa dell’inconoscibile mistero di Dio. E Gesù si rivolge a Dio dandogli del tu, chiamandolo “Abbà, Padre” (Mc 14, 36).
Ed in realtà l’atteggiamento di Gesù nei riguardi di Dio doveva suonare fortemente provocatorio alle orecchie dei suoi correligionari. Certo egli manifesta per Dio lo stesso rispetto che insegnavano i profeti ed insegna ai suoi discepoli a fare altrettanto. Però il suo modo di rivolgersi a Dio è sconvolgente: gli Ebrei non nominavano mai il suo nome, Jahwè, ma lo chiamavano ‘Adonai (mio-signore) o ‘Elohim (Dio), oppure “il cielo” o “l’altissimo” ecc. Per esprimere il suo amore a volte dicevano: egli è ‘av (padre) o ‘avénnu (nostro-padre). Tuttavia nessuno aveva mai osato chiamarlo Abbà come fa Gesù.
Abbà significa “babbo”, è una parola aramaica che appartiene al modo di parlare infantile ed è una delle primissime voci che il bambino articola; troviamo scritto in un libro ebraico: “Non appena egli sente il sapore della culla (cioè quando è divezzato) dice abbà, immà (papà, mamma). Per questo preciso carattere familiare, gli ebrei si guardarono bene dal chiamare Dio Abbà, nessuno prima di Gesù si era rivolto a lui con tanta confidenza.
Ma non basta, Gesù insegna anche ai suoi discepoli a rivolgersi a Dio chiamandolo così e consegna loro una preghiera proprio con lo stesso titolo confidenziale: Padre, Abbà.
Qual è la ragione di questa novità? Essa va ricercata proprio nella persona di Gesù e nella sua origine. Egli può rivolgersi a Dio e chiamarlo “papà” perché egli ed egli solo è il Figlio di Dio, l’Unigenito. È l’unico che ha diritto di rivolgersi a Dio con questa confidenza.
Tuttavia l’Unigenito Figlio di Dio “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Già con la sua incarnazione, il Figlio di Dio, ha reso in qualche modo solidali con sé tutti gli uomini. Ma non basta. Gesù Cristo ha dato la vita per il nostro riscatto sulla croce, è morto ed è risuscitato, e ci ha ottenuto il dono dello Spirito Santo. “Entrato una volta per sempre nel santuario dei cieli, egli intercede per noi, mediatore e garante della perenne effusione dello Spirito” (Messale Romano, Prefazio dopo l’Ascensione). Lo Spirito Santo ci rende figli nel Figlio: con questo dono noi entriamo a condividere la vita stessa di Gesù. L’amore stesso con cui il Padre ama il Figlio si riversa su di noi. Cioè il Padre ci ama con l’amore stesso con cui ama il Figlio: L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5, 5). Ed anche noi possiamo amare il Padre con questo stesso amore, con lo Spirito Santo che vive, prega ed ama in noi. Ecco perché possiamo chiamare Dio “Abbà-Papà”: perché grazie al dono dello Spirito siamo figli nel Figlio di Dio!
Facciamo dunque tesoro di questa festa, il cui scopo consiste prima di tutto nel rinnovare la nostra preghiera. Pregare Dio, per noi cristiani, significa pregare in Dio, rivolgerci al Padre chiamandolo “Papà”, perché siamo in Cristo suo Figlio e quindi siamo figli, giacché abbiamo ricevuto lo stesso suo Spirito.
Pregare in questo modo, significa credere che Dio non è un singolo, non è una persona sola: è una comunione di persone. Significa fare spazio all’alterità e alla relazione. Il Figlio non è il Padre, perché il Padre genera non è generato, il Figlio al contrario è generato e non genera. Essi sono distinti tra loro, ma non divisi, perché il Padre è padre solo in quanto genera il Figlio: senza Figlio non ci sarebbe Padre! E il Figlio è figlio in quanto è generato dal Padre: senza il Padre, il Figlio ci sarebbe. Per questo, tra loro sono “una cosa sola”: non una sola persona, ma un solo Dio. Ciò che fa l’unità è la comunione nella relazione, una comunione talmente perfetta da essere anch’essa una Persona: quando diciamo “nell’unità dello Spirito Santo”, questo significa “nell’unità che è lo Spirito Santo”.
Come cambierebbe la nostra visione della comunità cristiana se partissimo da qui! La comunità cristiana è alterità e comunione insieme: siamo persone distinte, non è possibile nessuna uniformità; ma non siamo persone isolate: siamo una cosa sola – come il Padre e il Figlio sono una cosa sola (cf. Gv 17). Questo è un dono che il Signore ci ha già fatto donandoci lo Spirito Santo, che è la nostra comunione. Ma è un dono che attende la nostra risposta, che crea in ciascuno e in tutti la responsabilità di essere uomini e donne di relazione: costruttori di relazioni, interessati ad incontrarci tra noi, a condividere la nostra esperienza, a prestarci reciprocamente ascolto, a costruire rapporti autentici tra noi.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
Bellissimo