Il terrorismo, nella sua definizione più semplice, è il tentativo di condizionare la vita dei popoli mediante la paura. In preda alla paura le persone – e ancor più le masse – sono prive di lucidità mentale e quindi facilmente condizionabili, praticamente a disposizione del più forte. E noi occidentali del XXI secolo siamo particolarmente condizionabili a causa delle nostre paure. Abbiamo paura di tutto: temiamo per la nostra salute, per la qualità dell’aria e del cibo, per la crisi economica, per la perdita delle relazioni affettive, abbiamo paura degli stranieri, dei poveri, delle malattie, dell’handicap, della morte… Siamo fragili. Fragili come un bambino senza padre, senza qualcuno che lo faccia sentire allo stesso tempo amato e protetto, guidato con mano ferma e sostenuto. Siamo le vittime ideali del terrorismo.
La guerra al terrorismo si combatte su tanti fronti: quello militare, quello investigativo, quello diplomatico… Ma si tratta di fronti “esterni”, rivolti all’altro, all’aggressore o al possibile alleato contro di lui. C’è invece un fronte interno che tendiamo a dimenticare: quello della nostra capacità di resistere alla paura. Se volete, possiamo chiamarlo “fronte culturale”, intendendo per “cultura” la “coltivazione dell’animo”, la cura della propria coscienza e la disciplina delle proprie emozioni, ossia la virtù.
Il vangelo ci mette sotto gli occhi una situazione di terrore cosmico: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti… le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte». Di fronte a ciò, le reazioni sono diverse: da un lato si parla di uomini che «moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra». Dall’altro ci si dice: «Quando incominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21, 25-28).
Cos’è che fa la differenza? Si risponderà anzitutto: la fede, ma in particolare quella declinazione della fede che si apre all’attesa e si chiama propriamente “speranza”. “Fede” significa relazione vivente con Dio che è nostro Padre ed è onnipotente: si prende cura di noi, non ci lascia perire come pecore senza pastore. “Speranza” significa fiducia nelle parole di Gesù che tornerà dal cielo per liberarci.
Ma noi perché abbiamo paura? Troppo facile rispondere: perché non abbiamo fede e speranza. Fede e speranza sono doni che Dio da a tutti coloro che glieli chiedono. Il problema non sta tanto lì, quanto nelle nostre scelte conseguenti. Abbiamo fede, sì, ma se abbiamo timore e angoscia è perché, come dice Gesù (Lc 21, 34-36), il nostro cuore si appesantisce in dissipazioni (perdiamo il nostro tempo correndo dietro a cose non buone), ubriachezze (teniamo la nostra mente intontita con tante sciocchezze, anziché cercare la saggezza, la giustizia, il coraggio, il dominio su noi stessi), affanni della vita (ci preoccupiamo del denaro, del successo, del potere… e non ci rendiamo conto di perdere la vita). Questi sono i nostri nemici più pericolosi: questo è ciò che ci rende fragili, manipolabili, perdenti.
Se vogliamo realmente sconfiggere il terrorismo, cominciamo dunque a sconfiggere dentro di noi il terrore. Nnon tutti possiamo combattere battaglie militari, investigative o diplomatiche, ma tutti possiamo e dobbiamo vincere la nostra battaglia interiore: costruirci come persone coraggiose, che hanno in Dio la loro forza e in Cristo il loro liberatore.
C’è un aneddoto della vita di san Luigi Gonzaga che viene citato spesso. Una volta egli stava giocando a biliardo con alcuni altri giovani gesuiti; arrivò il bacchettone di turno e gli disse: Luigi, se sapessi che è arrivata la tua ora, cosa faresti? E il santo rispose bel bello: continuerei la partita! E questa è la risposta che, invariabilmente, danno i santi: continuerei a fare quel che sto facendo, perché non ho paura: questo è il mio modo di santificarmi e di rendere gloria a Dio, nella fatica come nel riposo, nello studio e nel gioco, nel lavoro e nella preghiera, nella salute e nella malattia, nella gioia e nella sofferenza. Tutto utilizzo in modo saggio per rispondere a Dio che mi ama, confidando nella sua bontà.
Per chi crede, spera e ama come Gesù ci ha insegnato, ogni momento è un incontro con il Signore che viene, e la sua venuta è tempo di liberazione e di gioia.
Ecco dunque il senso di questo Avvento che cominciamo oggi: prepararci a incontrare il Signore, disporre i nostri cuori perché quando verrà ci trovi pronti.
Grazie, molto bello, continuare a fare ciò che sto facendo vigilando nell’attesa della Sua venuta…
L’ha ribloggato su SrIlariaScarciglia.
Veramente bello. saper utilzzare in modo saggio per rispondere a Dio che ci ama!!!
Penso sia bene usare tutto quello che abbiamo a disposizione nella vita per restare con gli occhi fissi sul Vangelo. Oggi i motivi di angoscia si moltiplicano; interi sistemi economici e di potere globalizzati si coalizzano per instillare paura e sfiducia, sempre allo stesso scopo: aumentare il proprio potere e la propria ricchezza. In questa situazione ci possiamo sentire vasi di coccio. I problemi quotidiani a volte sono soverchianti: cosa può pensare oggi un profugo proveniente dalla Siria? O anche “solo” (!) una persona che perde il proprio lavoro, e magari non sa come mantenere la propria famiglia? O chi ha una grave malattia e rischia di morire? Circostanze ormai comuni, oggi. In tutte le situazioni, possiamo avere a disposizione una grande aiuto dall’amicizia. Forse nulla come il sentirsi soli può distruggere una persona, anche quelle che magari stanno apparentemente bene: hanno la salute, agio economico, ma se mancano di amicizia, possono crollare. Gesù ha voluto chiamarci “amici”, per Amore, certamente, ma forse anche perchè sa che ognuno/a deve avere un cerchio di persone sulle quali poter fare affidamento, così si è voluto “infilare” nella cerchia di persone più intime tra quelle che ci appartengono; ha voluto valorizzare la profonda intesa che si può stabilire tra le persone, senza escludere gli altri. Lasciando sempre aperta la porta, per un semplice sorriso, alla disponibilità verso i vicini, ed i meno vicini. Questa sentimento può stemperare le disperazioni più profonde, facendo leva anche su un solo barlume di speranza. Ha il pregio di non togliere nulla a chi la riesce a dare, anzi, lascia con un senso di arricchimento. Il senso di ricchezza che può dare una buona amicizia, è un premio immediato, in attesa dell’arrivo dell’Amicizia più grande. E’ vero, tante volte restiamo delusi dagli altri, ed anche in ciò ci si dovrebbe interrogare: cosa ci mettiamo di nostro in queste situazioni di delusione? Dovremmo continuamente esercitarci a vivere sempre meglio l’amicizia.