Si avvicina l’Anno Santo della Misericordia, che avrà nelle indulgenze uno dei suoi temi centrali. Ne voglio parlare in preparazione alla festa di Tutti i Santi, perché questo tema si radica proprio nel mistero della comunione dei santi.
Due errori
Per comprendere questo tema è però necessario sgomberare la mente da due aspetti della mentalità moderna che per sei secoli hanno deviato la comprensione del peccato e dell’espiazione, due errori non discussi e spesso non consapevoli che stanno alla base degli abusi da parte cattolica e dei rifiuti da parte protestante. Questi errori moderni (e quando dico “moderni” intendo dire che cominciano a sorgere nel XIV secolo e rimangono in piedi fino al XX) sono il legalismo e l’individualismo.
Il legalismo porta a vedere il peccato esclusivamente in termini di trasgressione della legge di Dio, di offesa fatta a Dio disobbedendo ai suoi comandi. Tutta l’attenzione si concentra sul singolo atto, del quale ci si chiede se sia lecito o illecito, obbligatorio o facoltativo, permesso o proibito, ecc.
L’individualismo conduce, di conseguenza, a considerare il peccato come un affare privato tra la singola persona e Dio, una cosa da rivedersi tra me e lui a tu per tu; al limite si ammette che, quando il peccato coinvolge un terzo, si hanno dei doveri anche nei suoi confronti, ma tutto si restringe alle singole relazioni interpersonali dirette.
Se rimaniamo prigionieri di queste impostazioni, non potremo mai comprendere la dottrina delle indulgenze.
Contro il legalismo
Bisogna anzitutto contestare il legalismo. Il peccato è essenzialmente un fallimento causato dall’egoismo, è una chiusura all’amore che ha come conseguenza un ripiegamento della persona su se stessa, un intristirsi delle risorse personali.
Ciò che noi facciamo, infatti, non termina all’oggetto dell’azione, ma “rimbalza” sulla nostra personalità. “Agire” non è solo “realizzare qualcosa fuori di noi”, “produrre”, ma “realizzazione di ciò che possiamo essere, realizzazione del proprio essere umano”. L’agire bene fa dell’agente un uomo buono. Con l’agire morale trasformiamo innanzitutto e soprattutto quella parte del mondo che siamo noi stessi. Col nostro agire costruiamo la nostra personalità, acquisiamo degli habitus che ci “stabilizzano” in un determinato modo di comportarci. È chiaro che se ci “abituiamo” ad agire in modo saggio, giusto, forte, generoso rispondendo con la volontà al bene conosciuto, diventiamo sempre più liberi: sempre più capaci di amare; in questo consiste la virtù, un’attitudine che sviluppa la nostra personalità in modo degno dell’essere umano. Viceversa, se ci “abituiamo” a lasciarci andare, a lasciarci guidare dall’egoismo e da motivi irrazionali, a non esercitare il controllo sulle nostre azioni, diventiamo sempre meno liberi: sempre più ottusi nel riconoscere il bene e sempre più pigri nel tendervi: in questo consiste il vizio.
Raniero Cantalamessa illustra ciò con l’immagine di una stalagmite, cioè una di quelle colonne di roccia che si formano nel fondo di certe grotte millenarie, per la caduta di gocce d’acqua calcarea dal tetto della grotta: i miei peccati attuali, nel corso degli anni, sono caduti nel fondo del mio cuore come tante gocce d’acqua. Ognuno vi ha depositato un poco di calcare, cioè di opacità, di durezza e di resistenza a Dio, che andava a fare massa con quello lasciato dal peccato precedente. Come avviene in natura, il grosso scivolava via come l’acqua, grazie al pentimento… Ma ogni volta rimaneva qualcosa di non dissolto e questo perché il pentimento e il proposito non erano totali e assoluti, non erano “perfetti”. E così la mia stalagmite è cresciuta come una colonna, come una grossa pietra che mi appesantisce. Ecco cosa è il “corpo di peccato” di cui parla san Paolo e cos’è quel “cuore di pietra” di cui Dio parla in Ezechiele, quando dice: Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne (Ez 36, 26). È il cuore che ci siamo creati da soli, a forza di compromessi e di peccati. È pena e colpa insieme. È l’uomo vecchio.
Si può così capire il senso della prassi penitenziale della Chiesa: il nostro peccato non è solo trasgressione della legge di Dio, è anche e soprattutto indurimento del cuore. In fondo, Dio ci dà una legge proprio per evitare che ci induriamo! E giacché ci siamo induriti, abbiamo bisogno non soltanto di chiedere perdono per la trasgressione, ma anche di essere risanati.
La Chiesa chiama tutto ciò soddisfazione o espiazione e lo simboleggia con la piccola penitenza che impone a chi si è accostato alla confessione. Questa piccola penitenza è un “segno”, indica un atto e un atteggiamento che devono prolungarsi ben oltre il sacramento. San Pietro dice: Poiché dunque Cristo soffrì nella carne, anche voi armatevi degli stessi sentimenti; chi ha sofferto nel suo corpo ha rotto definitivamente con il peccato (1 Pt 4, 1). Egli stabilisce in tal modo un principio di enorme importanza: chi soffre rompe con il peccato. La sofferenza, dopo che attraverso di essa è passato il Figlio di Dio santificandola, ha il misterioso potere di “sciogliere” il peccato, di smagliare la trama delle passioni e di snidare il peccato dalle nostre membra.
Nessuno può entrare in Paradiso se ha il cuore indurito. La penitenza e la sofferenza su questa terra ci ammorbidiscono giorno per giorno, ma la vita che ci resta potrebbe non bastare per restituire al nostro cuore tutta la capacità di amare che è necessaria per sostenere l’abbraccio del Dio d’amore.
Sì: se vedessimo Dio ora, col cuore indurito che ci ritroviamo, non potremmo sopportare tanto amore: sarebbe l’infarto! Per questo Dio ha creato il Purgatorio, come un tempo di grazia oltre la morte, nel quale possiamo ancora ammorbidirci, riacquistare elasticità, essere ancora purificati fino a diventare capaci di ricevere il suo abbraccio ed essere ammessi alla visione del suo volto.
Ecco che, rinunciando all’impostazione legalistica, cominciamo a capire il senso della pena, della penitenza e del purgatorio.
Contro l’individualismo
Ma abbiamo detto che gli errori moderni sono due: non c’è solo il legalismo ma anche l’individualismo.
L’individualismo porta a pensare il peccato come qualcosa di privato tra me e Dio. Ed invece – siccome Dio è il creatore di tutto e noi siamo creati a sua immagine – la rottura della relazione con Dio rovina anche il rapporto con me stesso, con gli altri e con le cose.
Noi possiamo ottenere la remissione dei peccati soltanto perché il Figlio di Dio, Gesù Cristo, è diventato solidale con noi, si è unito a ciascuno di noi e i suoi meriti sono diventati nostri. Sappiamo che tutto ciò è accaduto col battesimo, sacramento che ci ha resi membra del suo corpo.
Ma se siamo membra del suo corpo, ciò significa che siamo membra gli uni degli altri! Paolo dice: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12, 26). Il mistero della comunione dei santi è tutto qui: c’è un rapporto misterioso e reale di solidarietà che ci unisce gli uni agli altri, per cui il peccato di ciascuno appesantisce l’intera Chiesa e la santità di qualcuno santifica, purifica e rinnova l’intera Chiesa.
Io sono un peccatore, porto nel cuore una stalagmite di pietra che non riesco a sciogliere con il mio impegno, se non in minima parte. Ma non sono solo! Grazie a Dio, sono inserito in un mistero di solidarietà, per cui la sanità di Cristo e dei santi giova anche a me! Dio mi comunica le grazie meritate dal suo Figlio, dalla sua Madre, dai suoi apostoli, martiri, vergini e confessori con l’immenso valore della loro esistenza, per rendere più rapida ed efficace la mia purificazione, sia su questa terra, sia in purgatorio.
La prassi
La Chiesa ha sempre esortato i fedeli a offrire preghiere, opere buone e sofferenze come intercessione per i peccatori e suffragio per i defunti. Nei primi secoli i vescovi riducevano ai penitenti la durata e il rigore della penitenza pubblica per intercessione dei testimoni della fede sopravvissuti ai supplizi. Progressivamente è cresciuta la consapevolezza che il potere di legare e sciogliere, ricevuto dal Signore, include la facoltà di liberare i penitenti anche dei residui lasciati dai peccati già perdonati, applicando loro i meriti di Cristo e dei santi, in modo da ottenere la grazia di una fervente carità.
I pastori concedono tale beneficio a chi ha le dovute disposizioni interiori e compie alcuni atti prescritti. Questo loro intervento nel cammino penitenziale è la concessione dell’indulgenza. Si ha l’indulgenza “plenaria” quando la liberazione è totale; altrimenti si ha l’indulgenza “parziale”. Per ricevere l’indulgenza plenaria si richiedono: una disposizione di distacco affettivo da qualsiasi peccato, anche veniale; l’attuazione di un’opera indulgenziata; il soddisfacimento, anche in giorni diversi, di tre condizioni, che sono la confessione sacramentale, la comunione eucaristica e la preghiera secondo l’intenzione del papa. Le indulgenze, plenarie e parziali, possono essere applicate ai defunti a modo di suffragio.
La storia
Tutto questo ha un senso se lo si mantiene nella giusta impostazione. Quando invece – com’è accaduto dal XIV al XX secolo – prevale un’impostazione legalistica e individualistica, si cade in errori tragici.
È a tutti nota la vicenda della compravendita delle indulgenze. Basandosi su un’impostazione legalistica, da parte cattolica si vedeva la penitenza come una sorta di tributo da pagare a Dio in espiazione della pena dovuta per i peccati. Per il pagamento, la Chiesa avrebbe a disposizione un “tesoro” costituito dai meriti di Cristo e dei santi; il Papa avrebbe le chiavi di questo tesoro e potrebbe applicarlo ai fedeli che soddisfino determinate condizioni; tra queste, spesso, venivano inserite offerte in denaro per la costruzione di chiese o per altre motivazioni.
Il problema di questa impostazione, evidentemente, è il legalismo. La soluzione avrebbe dovuto essere quella di uscirne. Invece la reazione di Lutero fu quella di radicalizzare il legalismo, complicandolo – per di più – con una dose massiccia di individualismo: per lui la Chiesa avrebbe il potere soltanto di rimettere le pene canoniche comminate dalle autorità umane, ma non la pena da scontarsi nella vita futura; non esisterebbe alcun “tesoro” di meriti a cui la Chiesa può attingere, e ognuno sta solo di fronte a Dio con il suo peccato e il suo debito.
Se recuperiamo il senso personale del peccato e della penitenza e il valore profondo della comunione dei santi, possiamo superare entrambe le impostazioni. Concedendo le indulgenze, la Chiesa agisce come ministra della redenzione e come maestra di vita spirituale che non soltanto viene in aiuto ai suoi membri, ma li spinge anche a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità.
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
Molto bello, uno spunto di riflessione con i miei alunni.
Molto bello, uno spunto di riflessione con i miei alunni.
Bentornato prof.
Grazie
Grazie fra Aldo per l’articolo 800 che hai mandato. E’ veramente bello- Grazie s Sr.Lovely——————————————-
grazie fra’ aldo , un saluto .caterina