“Esulti sempre il tuo popolo… pregusti nella speranza il giorno glorioso della risurrezione” (Colletta della III domenica di Pasqua).
“Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza… mi colmerai di gioia con la tua presenza” (1. lett,: At 2, 22, cit. Sal 15)
“Voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio. (2. lett.: 1 Pt 17, 21)”
“Si fermarono col volto triste … «Noi speravamo…»” (Vangelo: Lc 24, 17)
Siamo gente che esulta? Ci rallegriamo, siamo colmi di gioia? Oppure abbiamo il volto triste? Mentre scrivo queste righe intravedo la mia faccia pallidamente riflessa sullo schermo del computer: è una faccia triste. Forse in altri momenti sarà stata più allegra, ma prima o poi la tristezza è tornata ad appesantirla. È un problema solo mio? Forse no. Per questo ne scrivo.
Perché la gioia è così difficile? È difficile persino quell’apparenza di gioia, quell’accidente senza sostanza che chiamiamo “allegria”; talmente difficile che gli uomini hanno da sempre avuto bisogno di pagare commedianti e buffoni per ridere, e di assumere vino, erbe, polveri e pasticche per mettersi di buon umore.
L’allegria è difficile. Figuriamoci la gioia! Perché? Perché la gioia è sempre legata alla speranza. E la speranza è ciò che ci aspettiamo dal futuro. Il guaio è che non conosciamo il futuro, ma solo il passato; e il passato non è poi così incoraggiante…! Se c’erano cose belle, sono – appunto – passate (e quindi siamo tristi), se c’erano cose brutte ne è rimasto il ricordo e, talvolta, anche le conseguenze (e quindi siamo tristi).
Per gioire ci sarebbe bisogno di venire a conoscenza di qualcosa che è accaduto nel passato, ma non è rimasto nel passato. Di qualcosa di bello che resti nel presente come garanzia di un futuro sempre bello.
Non basta: ci sarebbe bisogno di qualcosa che fosse talmente bello da cancellare ogni traccia di ciò che è brutto, ogni conseguenza del male, ogni ricordo di rovina, di tristezza, di disgusto… Dovrebbe essere una creazione nuova ed eterna!
Ma esiste qualcosa del genere? C’è mai stato un avvenimento simile?
La risposta del vangelo è: Sì! Questo avvenimento è la risurrezione di Cristo. La nostra speranza è fondata sulla risurrezione. Teniamole sempre insieme la speranza e la risurrezione, altrimenti la gioia è impossibile.
Speranza non è ottimismo – l’ottimismo è ingenuità. Speranza è credere all’adempimento delle promesse di Dio, dice la teologia. Ma se la realizzazione di queste promesse rimane nel futuro, è difficile provarne gioia nel presente, perché è in questo presente che devo portare il peso del mio passato e del passato delle persone che amo…
Se però la speranza si fonda sulla risurrezione, tutto il passato viene trasformato, diventa storia della salvezza, viene redento e ricreato. Maria Maddalena non è più una peccatrice: è l’apostola degli apostoli, è la prima testimone del Risorto. Pietro non è più lo spaccone vigliacco che ha rinnegato Cristo: è il principe degli apostoli, il capo della Chiesa, l’annunciatore intemerato del Vangelo che darà la vita sulla croce per Cristo. Paolo non è più il bestemmiatore, il persecutore, il violento: è l’apostolo delle genti, che spende ogni momento, notte e giorno, per annunciare la parola, fino a morire per lei. Chi li ha conosciuti secondo la carne, ora non conosce più nulla, perché se uno è in Cristo è una creatura nuova, le cose di prima sono passate, ecco ne sono nate di nuove (2 Cor 5, 17)!
Però, aspettate un momento… Che Cristo è risorto non sembra poi una gran novità. Lo sapevamo. E come mai lo sappiamo ma non abbiamo gioia?
Siamo come i discepoli di Emmaus: anche loro sapevano che Gesù era morto e avevano sentito parlare della risurrezione, ma non riconoscono la sua presenza. Gesù è veramente tra noi. Ma questo è ancora inutile e vano, finché non ci accorgiamo della sua presenza, finché noi siamo assenti da lui.
L’episodio che abbiamo ascoltato ci dice come e quando Gesù si dà a conoscere oggi, come e quando cioè noi possiamo incontrare il Cristo risorto. Anzitutto attraverso la Parola di Dio, le Scritture. Fu nell’ascoltare Gesù che spiegava le Scritture che il cuore dei due discepoli cominciò a sciogliersi e ad accoglierlo. Ma questa è ancora la preparazione. L’incontro vero, l’aprirsi degli occhi dei discepoli, il capire, è riservato a un altro momento più intimo: quello della Comunione, in cui ci si siede a tavola con Gesù e lui dà tutto se stesso nel segno del pane.
Proprio così, mi piacerebbe parlarne insieme…
L’ha ribloggato su SrIlariaScarcigliae ha commentato:
Gioia da condividere…