1. Basileía, “Regno”, è il termine che ricorre più frequentemente nei vangeli sinottici e che sembra meglio definire l’oggetto proprio e specifico della predicazione di Gesù. Egli non si spiega mai sulla natura del Regno di Dio, non si preoccupa di definirne la nozione. Evidentemente egli suppone che i suoi ascoltatori sappiano di che cosa parla. Si rivolge a persone che attendono il Regno di Dio. La formula astratta non li inganna. Essi inoltre si rendono conto che non si tratta semplicemente di un potere che Dio detiene in maniera statica; l’espressione condensa il suo intervento nel mondo, l’azione mediante al quale egli esercita effettivamente la sua sovranità.
2. Gesù parla della Basileía come di una realtà che deve venire. Assicura ai suoi discepoli che alcuni di loro “non gusteranno la morte prima di aver veduto il Regno di Dio venuto con potenza” (Mc 9, 1 //). Durante la Cena afferma che egli “non berrà più del prodotto della vite fino a quando il Regno di Dio non sia venuto” (Lc 22, 18). Secondo Luca, i Farisei interrogano Gesù “sul momento in cui verrà il Regno di Dio”, ed egli risponde: “Il Regno di Dio non viene in maniera che si possa osservare” (Lc 17, 20). Invita i suoi discepoli a pregare il Padre chiedendogli: “Venga il tuo regno!” (Mt 6, 19 //): si tratta di una venuta che deve verificarsi a un dato momento: al tempo dell’intervento escatologico.
L’uso del verbo “venire” a proposito della Basileía non corrisponde a ciò che sappiamo sul linguaggio del giudaismo; i Giudei attendo che il Regno di Dio “si manifesti”, o “si riveli”: non conosciamo alcun testo giudaico in cui si dica che il Regno di Dio “viene”. Per trovare un equivalente al mondo con cui Gesù parla della “venuta” del Regno di Dio, si deve ricorrere a ciò che i rabbini dicevano dell’ “epoca che viene”.
3. Gesù non si limita ad annunciare che il Regno di Dio viene; egli inoltre precisa – ed è per questo che il suo messaggio diventa una buona notizia – che il Regno di Dio è vicino. I suoi uditori attendevano il Regno e non era necessario informarli che un giorno esso sarebbe giunto. Per essi era invece del tutto nuovo sentir annunciare che il momento era arrivato: l’intervento escatologico di Dio sta per accadere. Ecco una parola inaudita e sconvolgente, che pone gli uomini di fronte a una situazione completamente nuova.
Gesù fa cogliere la portata dei suoi esorcismi dicendo: “Se io caccio i demoni mediate lo Spirito di Dio (Lc: mediante il dito di Dio), significa che per voi è arrivato il Regno di Dio” (Mt 12, 28 //). Gesù invita i suoi interlocutori a riconoscere nei suoi esorcismi un effetto della potenza del Regno di Dio; questo suppone che il Regno sia presente almeno in una certa maniera. Essi sono una prima manifestazione di questo Regno, una anticipazione dello spiegamento di potenza che accompagnerà il suo avvento. Quando Gesù manda i suoi discepoli ad annunciare che il Regno di Dio è vicino, trasmette loro anche il potere di cacciare i demoni e di guarire i malati (Mt 10, 1-ss e //). Sono questi i segni che confermano il messaggio dell’imminenza del Regno: esso è così vicino che già si fanno sentire i suoi effetti.
4. Convertirsi significa credere a tutto ciò. Prima di Gesù, convertirsi significa, di solito, cambiare vita, cambiare condotta, meritare la salvezza o affrettare la salvezza; ha un significato ascetico e morale. Ci si converte soprattutto osservando fedelmente la legge, con il proprio sforzo.
Ora, con Gesù, il rapporto è capovolto; conversione e salvezza si sono scambiate di posto: non c’è prima la conversione e poi la salvezza, ma, al contrario, prima la salvezza e poi la conversione. Convertirsi significa credere nella buona notizia (vangelo!) che la salvezza è offerta all’uomo come dono gratuito di Dio; la conversione è un atto di risposta. Posso convertirmi, perché in Cristo il regno si è fatto vicino. Il vangelo precede la conversione, l’indicativo precede l’imperativo, la donazione di Gesù precede e suscita la nostra donazione.
5. Ci si converte credendo. Facile? Per niente! Il messaggio dell’imminente avvento del Regno di Dio non poteva non suscitare riserve, provocare critiche da parte degli uditori di Gesù. Rispondendo alle obiezioni che gli vengono mosse, egli ci permette di cogliere ancora meglio il suo messaggio. Si possono ridurre queste obiezioni a una sola: se fosse vero che il Regno di Dio è imminente, le cose andrebbero attualmente come le vediamo? In altre parole, il tempo presente non dà in alcun modo l’impressione di essere alla vigilia dell’evento formidabile annunciato da Gesù.
A questa difficoltà Gesù risponde in due maniere diverse. Anzitutto egli fa notare che i segni non mancano, ma che i suoi interlocutori non li sanno comprendere (si veda soprattutto Mt 11, 2-6 //). Un altro genere di risposta è quello rappresentato dalle parabole di contrasto, in cui Gesù si pone ancor più dal punto di vista dei suoi interlocutori. Egli ammette che il momento presente, il tempo in cui egli esercita il suo ministero – un ministero tanto umile e pieno di tanti insuccessi – è senza proporzione con gli spettacolari sconvolgimenti che si verificheranno quando il Regno di Dio verrà con tutta la sua gloria e la sua potenza. Egli però fa notare che anche il seminatore subisce tante perdite quando getta la sua semente; queste perdite, però, non impediscono una splendida messe (Mc 4, 3-8 //). Egli ricorda che, dopo la semina, il contadino non si occupa più del campo, lasciando che il grano germogli da solo; vi ritorna soltanto quando è giunto il tempo della mietitura (Mc 4, 26-29). Dio non si comporta diversamente: attende la sua ora per intervenire, mentre la messa va maturando da sé. Gesù spiega ancora che un grano di senape, minuscolo, produce il più grande degli ortaggi, simile ad un albero (Mc 4, 30-32 //), che un pizzico di lievito è sufficiente a far fermentare una grande massa di pasta (Mt 13, 33 //). La piccolezza del grano di senape o della manciata di lievito corrisponde bene all’impressione di qualcosa di insignificante che dava il ministero di Gesù. Ma si tratta di un punto di partenza; il seguito sarà grandioso: cioè, l’avvento del Regno di Dio in tutto il suo splendore.
La proclamazione del vangelo suppone che sia giunto il momento in cui le promesse dei profeti devono avere il loro compimento. Vale a dire che sia imminente il giorno in cui Dio esercita il suo Regno.
Ma qual è questo giorno? È il giorno della Pasqua del Signore. La porta del Regno è il Getsemani, il suo trono è la croce, la sua rivelazione è la Risurrezione. Si realizzano allora le beatitudini (Mt 5), perché poveri entrano nel Regno nelle acque del battesimo. Gli affamati sono saziati dal corpo stesso del Signore. Il Consolatore è donato agli afflitti.
In 2 Cor 5, 11, Paolo cita Is 49, 8: Nel tempo della grazia ti ho esaudito; nel giorno della salvezza ti ho soccorso”; ed aggiunge: “Eccolo, ora, il tempo della grazia; eccolo, ora, il giorno della salvezza”. Nel momento in cui Paolo predica il giorno della salvezza è il presente. Ed è in questo presente che noi siamo chiamati ad entrare grazie al cammino quaresimale.
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