L’annuncio della Pasqua, che segue la lettura del vangelo dell’Epifania, spiega sinteticamente il senso di questa festa: “Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi”.
Come si è manifestata? Qualcuno di noi ha forse visto Dio? “Dio nessuno lo ha mai visto; il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, egli ce lo ha rivelato” (Gv 1, 18). Avendo udito, veduto e toccato Gesù, gli apostoli attestano: “Abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14).
Beh, beato Giovanni! Beati gli apostoli! Essi hanno visto Gesù, hanno visto la gloria… E noi?
No, cari amici: la logica del Vangelo è opposta: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20, 29). Col Vangelo è così: non è che prima si vede la gloria e poi si crede, ma al contrario, prima si crede e poi si vede: “Se credi, vedrai la gloria di Dio” (Gv 11, 40).
Dobbiamo dunque credere “al buio”, senza alcuna indicazione? In realtà, di luci e di indicazioni ne abbiamo tante: ma si tratta di una manifestazione fatta di segni, che predispongono alla fede, che preparano l’incontro con Cristo in cui “la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi”. Io i segni li ho visti. No: né miracoli, né prodigi eclatanti, ma al contrario, cristiani che giorno per giorno mi hanno testimoniato la verità e la bellezza della gloria di Dio. Per questo mi sono avvicinato a Cristo. Per questo credo.
Dio i segni li ha sempre dati. Ai Giudei aveva dato come segno le Scritture profetiche: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infetti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo Israele” (Mt 2, 6; Mi 5, 1). Ad Erode, che non era un israelita, ma uno straniero messo dai Romani a capo di Gerusalemme, comunque Dio aveva dato come segno i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, che potevano istruirlo sulla parola di Dio. Ai Magi, che vivevano lontani dalla Palestina ed erano praticamente degli astrologi, Dio diede come segno una stella, e tramite essa li guidò fino a Betlemme.
Con ciascuno Dio usa il linguaggio che gli è comprensibile. Noi non crediamo all’astrologia, ma i Magi ci credevano, quindi Dio si abbassa a parlare la loro lingua, usa il loro codice: volendo essere ascoltato, non pretende di imporre il proprio!
Però, una volta giunti a Cristo, tutti i codici devono essere ricapitolati nell’unica Parola: il Verbo che si è fatto carne: la natura (le stelle) e la scrittura (le profezie), il cosmo e la storia, tutto può e deve condurre a credere a Cristo, per poi essere riletto per Cristo, con Cristo e in Cristo, manifestazione definitiva e continua della gloria del Padre.
Noi, annunciatori della parola di Dio nel mondo di oggi, stiamo qui a testimoniare che questo itinerario è percorribile: dai molti segni – sparsi nei più diversi codici umani di comunicazione – all’unico Segno, Gesù Cristo: dalla fede alla contemplazione della gloria.
Ma “percorribile” non significa “facile”: bisogna rimuovere gli ostacoli. E gli ostacoli si chiamano: chiusura alla verità, difesa dello status quo, attaccamento al potere…
I Magi – scrive san Giustino martire – accolgono con Cristo la fine della magia; Clemente Alessandrino dice che la stella di Cristo annulla l’antico ordinamento delle stelle. Insomma, accogliendo Cristo, i Magi rimangono disoccupati! Tertulliano interpreta le parole “per un’altra strada fecero ritorno al proprio paese” nel significato di una conversione radicale.
I Magi sono stati disponibili a questo. Erode no. Gli scribi no. Diversi Padri insegnano che l’offerta dell’oro, dell’incenso e della mirra sta a rappresentare la sottomissione totale a Cristo di ogni regalità, di ogni potenza di ogni gloria: come diremo tra poco, dopo il Padre nostro: “Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli”. Ma se io voglio conservare i miei privilegi, il mio potere, il mio tornaconto, non posso credere e quindi non vedrò la gloria di Dio. Forse che essa non si manifesta? Tutt’altro! Si manifesta, ma io la rifiuto. “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1, 5).
Se invece siamo disponibili a perdere il nostro oro, il nostro incenso, la nostra mirra, se siamo pronti a donarli per sempre al Signore, allora accade il miracolo: non solo “vediamo la gloria di Dio”, ma addirittura veniamo trasformati in immagine di Dio, di gloria in gloria (cf. 2 Cor 3, 18). Ossia diventiamo a nostra volta un segno – una stella, una profezia, un’istruzione – che conduce a Cristo. Così una Chiesa, una comunità, un cristiano che hanno ceduto a Cristo tutto il potere, realizzano il proprio compito di essere un riflesso della sua gloria per la salvezza del mondo.
La Gloria di dio l’ho vista… lo sai…
Grazie… A lui Il signore ogni onore e gloria.
Abiamo così poco ma se è il nostro tutto Lui lo accetta e ne è ben contento…
Grazie, ancora!