XX Domenica del Tempo Ordinario – A
La Parola di Dio di questa Messa (Is 58, 1.6-7; Rm 11, 13-15.29-32; Mt 15, 21-28) ci chiama a riflettere su un problema che si fa di giorno in giorno più acuto: l’atteggiamento da tenere verso tutti coloro – popoli lontani da noi o gruppi intorno a noi – che non appartengono al “nostro” popolo.
Una volta questo problema era meno acuto. Fino a qualche decennio fa, dalle parti nostre era raro incontrare uno straniero. Ed era talmente difficile incontrare un non-cristiano che, invece di dire “un uomo” o “una persona”, dialettalmente si diceva “un cristiano”.
Gli altri, i popoli non-cristiani, erano visti in lontananza, come gente da portare alla fede tramite la missione.
Ora le cose sono cambiate radicalmente. I popoli si muovono, vengono alla ribalta; nessuno più è protetto dalle barriere nazionali. Il confronto è inevitabile e quotidiano. Ed è un confronto che avviene ormai dentro casa nostra. Incontriamo gente di tutti i popoli: africani, asiatici… Alcuni di loro sono cattolici migliori di noi. Altri professano religioni diverse: tanti musulmani, ma anche buddisti, indù, ecc.
Cosa pensare di questi uomini e donne? Come comportarci con loro? Ecco il problema al quale la parola di Dio può aiutarci oggi a dare una risposa di fede.
La 1. lett. di Isaia ci riporta in seno al popolo ebraico prima di Cristo. Qui la distinzione è netta: da una parte gli Ebrei, il popolo eletto, i destinatari dell’alleanza e della promessa; dall’altra tutti gli altri popoli. L’umanità si divide in due: i Giudei e i Gentili (ossia i pagani).
La tentazione dei Giudei è quella di chiudersi in se stessi e considerare tutti gli altri uomini come immondi.
Il profeta apre una porta: gli stranieri possono anch’essi aderire al Signore per servirlo. Se accettano la legge (il sabato), essi possono entrare a far parte del popolo dell’alleanza; Dio gradirà i loro sacrifici e il tempio di Dio sarà casa di preghiera per tutti i popoli, non solo per gli Ebrei.
Più lontano si spinge il Salmo responsoriale: dice che Dio è Signore non di un popolo solo, non di una sola razza, ma di tutti:
Gioiscano le nazioni e si rallegrino, perché tu governi le nazioni sulla terra. E giunge a invitare tutti i popoli (cioè gli stranieri e i pagani) a riconoscere il Signore e a unirsi nella sua lode: Popoli tutti, lodate il Signore.
La parola dell’apostolo Paolo, nella 2. lett., ci ha prospettato una situazione in un certo senso diversa. I Giudei non hanno accolto Gesù e quindi adesso l’elezione e la salvezza è passata ai pagani. Che atteggiamento deve assumere la comunità cristiana verso i Giudei?
Nessuna discriminazione – risponde Paolo – nessun razzismo alla rovescia! I doni e la chiamata di Dio, quelli che Dio ha rivolto agli Ebrei nell’Antica Alleanza, sono irrevocabili.
I Giudei restano popolo eletto, la loro incredulità è servita provvidenzialmente alla riconciliazione del mondo, cioè ad aprire l’orizzonte della salvezza a tutti i popoli. Noi cristiani, che siamo i nuovi chiamati, non possiamo in alcun modo vantarci nei loro confronti: dobbiamo piuttosto essere animati da riconoscenza e timore.
Paolo lancia un prezioso germe di speranza: Anch’essi, i Giudei, un giorno otterranno misericordia e quel giorno sarà una sorta di risurrezione dei morti.
Veniamo ora al Vangelo. Un semplice episodio: Gesù si è spinto verso le parti di Tiro e di Sidone, dove abitano i pagani. Una donna lo supplica di guarire la figlia; Gesù sembra rifiutare.
Attenzione: i suoi discepoli qui, sembrano essere più misericordiosi di Gesù stesso! Dicono: Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando. Ma è una misericordia pelosa. Questa donna grida, disturba… Accontentala e ce la togliamo dai piedi, come si getta un osso ad un cane per farlo allontanare dalla mensa.
Gesù porta all’estremo la tensione, dicendo parole terribili a questa donna: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. Perché usa un linguaggio del genere? Per mettere in luce l’umiltà e la fede di questa donna straniera e così guarire il razzismo dei suoi discepoli.
È vero, Signore, – disse la donna – eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. Questo è il modo di pregare: non l’arroganza di chi pretende di avere dei diritti davanti a Dio, non la presunzione di chi ritiene di dover essere ascoltato perché ha dei meriti; l’umiltà di chi non ha nulla se non il proprio dolore e la propria fede!
Donna, davvero grande è la tua fede! Gesù la esaudisce e così insegna ai suoi discepoli che è la fede, non l’appartenenza ad una nazione e nemmeno l’osservanza della legge, che rompe le barriere e rende i cagnolini commensali.
Ed ora chiediamoci chi siamo noi. Cristiani da cento generazioni, ci sentiamo – e siamo – il popolo eletto! Ma questo è un puro dono di Dio. In realtà siamo cagnolini che il Signore ha reso figli per pura grazia: perché nella nostra miseria ha avuto pietà di noi. Ed è questo l’atteggiamento che dobbiamo avere nei confronti degli altri uomini e degli altri popoli: testimoni della misericordia di Dio e della sua accoglienza, perché anche loro giungano alla fede e possiamo tutti entrare nella gioia di Dio, alla mensa del Regno.
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